Continuavano a percepire l’assegno sociale che spetta di diritto ai richiedenti asilo indigenti. Ma indigenti non lo erano più, dal momento che in provincia di...
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È stato l’ex prefetto di Pordenone, Maria Rosaria Maiorino, a pretendere un’intensificazione dei controlli sulle mancate dichiarazioni legate all’avvio dell’attività lavorativa dei migranti e a “smascherare” chi sommava redditi e assegni senza averne diritto. Il resoconto stilato dalla Prefettura riguarda un’attività durata più di un anno.
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La stretta
Quando nel 2018 Maria Rosaria Maiorino è diventata prefetto di Pordenone, in provincia erano ospitati 938 richiedenti asilo. Oggi sono circa 300, tra accoglienza diffusa e hub della Comina all’ex caserma Monti. Il calo è stato provocato dalla riduzione degli arrivi - ripresi solo negli ultimi mesi lungo la rotta balcanica - da una politica restrittiva sul fronte dei permessi umanitari ma anche dall’operazione di controllo sui lavoratori “nascosti”. Più di cento persone negli ultimi dodici mesi si sono viste revocare il diritto all’accoglienza (e quindi al sussidio) proprio a valle della stretta messa in campo dalla Prefettura. Ogni richiedente asilo, infatti, per conservare il diritto all’assegno sociale dev’essere in condizioni di indigenza. E nel caso in cui riesca a trovare un’occupazione remunerativa, è tenuto a comunicarlo alla Prefettura, un passaggio che però in molti casi è “saltato”. Solo grazie a una maggiore capacità di controllo è stato possibile regolarizzare le singole situazioni, tappando così una falla che generava un’emorragia di denaro pubblico non giustificata. I richiedenti asilo che percepivano illegittimamente il doppio compenso sono stati espulsi dal sistema dell’accoglienza, ma continueranno il loro percorso giuridico sino al riconoscimento (o meno) dello status di rifugiato.
I casi
Perlopiù afghani, pakistani oppure originari dell’Africa Sub-sahariana, nella maggior parte dei casi i migranti con in mano un contratto di lavoro avevano trovato un impiego in fabbrica o nell’agricoltura. Braccianti, operai, tutti mestieri fatti di fatica e di turni “scomodi”. I compensi, però, arrivavano anche a 1.500 euro. Cifre che non giustificavano la permanenza nel circuito dell’accoglienza, che oltre al vitto garantisce anche l’alloggio gratuito.
Il Mattino