Coronavirus, al diavolo il debito pubblico

Coronavirus, al diavolo il debito pubblico
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Caro direttore, 

con calma, dopo un mese dall’inizio dell’emergenza e dai primi focolai, Giuseppe Conte si è deciso a “chiudere” - molto, non tutto - per rallentare la diffusione di Covid19, chiedendo ai cittadini il sacrificio di restare in casa e a chi deve lavorare quello di garantire agli altri il diritto alla salute e al futuro. Ma, accanto all’emergenza sanitaria, ne esiste un’altra, quella economica, che dispiegherà i suoi drammatici effetti assai più a lungo. Le fabbriche sono serrate, gli studi professionali sono fermi, gli esercizi commerciali sono chiusi: settori come il turismo, l’agricoltura e l’edilizia sono in ginocchio. Per la ripresa, le autorità internazionali stimano un calo del prodotto interno lordo per il nostro Paese intorno all’8%. Del resto, la Germania, locomotiva d'Europa, si aspetta un calo del 5. Come hanno chiesto il leader del centrodestra, ma anche le associazioni delle categorie e degli industriali, è necessario mettere in campo immediatamente delle misure per l’emergenza e per la ripresa. È inimmaginabile pensare che basti un bonus una tantum di 600 euro (cioè una cifra inferiore a quella del reddito di cittadinanza) per autonomi, liberi professionisti e partite Iva che oggi non lavorano. È impensabile che, tra due mesi, tutto ricominci come prima se le aziende non avranno ora un’iniezione di liquidità. E poi, come si pensa che possa sopravvivere a questo tsunami chi già prima stentava ad arrivare alla fine del mese, vivendo con un lavoro precario o al nero. Di fronte ad una contrazione dei redditi e dei consumi di queste dimensioni, tra qualche mese ci sveglieremo e ci saranno decine di migliaia di posti di lavoro in meno, piccole aziende costretta a chiudere o a pagare debiti e tasse con fatturati a zero o addirittura in negativo. Eppure, lo Stato non ha nemmeno rinunciato a riscuotere le tasse, ma ha soltanto rinviato le loro scadenze. La misura strategica che abbiamo il dovere di adottare allora è quella di trasformare il 2020 in un “anno bianco“, come ha chiesto Matteo Salvini. La ripresa si può ottenere soltanto abbattendo le tasse, trasformando il “dopo virus” in una rinascita per il nostro Paese. È particolarmente importante che si abbatta, magari arrivando sino allo zero, la pressione fiscale su tutte le attività, a partire da quelle che stanno pagando la chiusura e che sono connesse al turismo: ristorazione e intrattenimento, alimentazione. Per il resto una flat tax, una tassazione piatta, che spinga chi ha ancora da parte qualche soldo ad investire. Fu la strategia adottata dalla Grecia dopo il default ed ebbe ottimi risultati, per esempio portando milioni di turisti nel suo paese. Bisogna investire per realizzare infrastrutture, facendo lavorare, in opere strategiche per il nostro Paese, decine di migliaia di lavoratori dell’edilizia. Ed è quello che stanno iniziando a fare in tutto il mondo. L’America di Trump ha messo sul tavolo 4.000 miliardi per le imprese e 3.000 dollari per ogni capofamiglia. Il ministro delle Finanze tedesco, Olaf Scholz, ha parlato di “misure senza precedenti” e il suo Governo ha stanziato 156 miliardi di euro. Di fronte alle scelte di chi sino ad ieri si proclamava vestale dell’equilibrio dei conti pubblici, diventa addirittura incomprensibile che questo Governo continui invece a nasconderci dietro il debito pubblico, come ha fatto ancora qualche giorno il ministro per l’economia Gualtieri. Siamo davanti ad una situazione eccezionale che impone di ritenere superati vincoli che, di fronte ad un’economia di guerra, diventano senza senso. E per far questo non bastano certo i 25 miliardi del “Cura Italia”. L’Italia ha il dovere di mettere direttamente nelle mani dei lavoratori, dei commercianti, dei professinisti, degli imprenditori, dei precari quei soldi che servono per andare avanti. Non saranno sprecati, a partire dal fatto che dimostreranno che lo Stato, finalmente, c’è. 


* Giuslavorista, prof. Diritto del lavoro Leggi l'articolo completo su
Il Mattino