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Gentile Direttore,
la storia della solidarietà a Mustafà, il piccolo profugo nato senza arti per il gas nervino respirato dalla madre nella Siria in guerra, è tutta italiana. Da Siena l’iniziativa - grazie a una foto di Mustafà con il padre (anch’egli, colpito dalle schegge di una bomba, ha perso una gamba) che ha fatto il giro del mondo - per ridare al padre e figlio un futuro diverso, con specifiche protesi.
Bartolomeo Marra
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Caro Bartolomeo,
la solidarietà di un popolo non si misura dai grandi slanci, come è avvenuto con Mustafà. La sua condizione è infernale. La sua foto senza gambe né braccia ha fatto il giro del mondo. Attenzione a non utilizzare quella foto come una foglia di fico. Come uno spot del grande cuore. Quale Paese non avrebbe accolto il piccolo Mustafà? Chi non avrebbe aperto le porte della propria casa o gli ospedali della propria città ad una vittima innocente della barbarie umana? La solidarietà, però, non è solo fatta di buoni sentimenti. Intesa così non è bontà, ma buonismo. La solidarietà è un dono non può essere un pacco. E i disperati, chi scappa dalle guerre o dalla fame, non possono essere trattati da pacchi. La solidarietà per tutti corre questo rischio. Il grande cuore, anche il grande cuore, per funzionare, per raggiungere il suo fine che resta quello di aiutare chi ha davvero bisogno, deve essere organizzato, deve essere possibile. Il regno dell’impossibile appartiene solo ai santi. E non a un popolo intero.
Federico Monga
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