Professione foodblogger a Napoli: cosa fa e come guadagna | Video

Foodblogger per passione o per lavoro? Assaggiare prodotti, girare per locali, recensire piatti e postare foto sui social può effettivamente essere considerata una...

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Foodblogger per passione o per lavoro? Assaggiare prodotti, girare per locali, recensire piatti e postare foto sui social può effettivamente essere considerata una professione a tempo pieno?

«Di certo non è come avere un posto fisso – precisa subito Gianluca Balestrieri, giovane autore del blog «GiàBal ed il Cibo: l’incontro Divino» - non si ha una aspettativa sicura di lavorare, ma di certo con la passione per il cibo possono nascere occasioni di lavoro, soprattutto in una città come Napoli».
 
Saper comunicare e trasmettere l’emozione del piatto al fine di attrarre attraverso i nuovi mezzi di comunicazione quante più persone possibili: è questo il segreto del guadagno di un foodblogger, figura che ormai fa gola a tanti imprenditori del settore enogastromico. Per la sua capacità di cogliere l'attimo è Instagram - socialnetwork che permette agli utenti di scattare foto, applicare filtri e condividerle in rete -  ad essere lo strumento più gettonato nel mondo del foodblogging. 

«Far arrivare alla gente le sensazioni che provi assaggiando un prodotto tipico è l’aspetto che interessa ai proprietari dei locali  – spiega Gianluca - se piace il tuo modo di comunicare la loro cucina allora possono esserci le basi per  avviare una vera collaborazione lavorativa». Il giovane foodblogger napoletano ammette dunque che c’è «un giro economico e che il margine di guadagno cambia a seconda dello standard del locale che si riesce a sponsorizzare».
 

Ma come si trovano i potenziali «clienti»? «La giornata tipica di un foodblogger inizia dando un’occhiatra ai blog più accreditati - dice Gianluca -  poi inizia il giro di telefonate agli amici che hanno un locale per chiedere se c’è qualche novità enogastronomica da recensire e da poter proporre al pubblico». Così si va provare di persona il nuovo arrivo in menù, sperando chequello tra la forchetta e il piatto sia un incontro fortunato. «In alternativa – conclude Gianluca - si scende in strada e si fa tappa dove porta il cuore, o meglio l’odore».  Leggi l'articolo completo su
Il Mattino