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«Tra tutti i candidati che abbiamo esaminato, Delphine d’Amarzit è quella con l’esperienza più completa, tanto nel settore privato che nel pubblico. È una scelta basata sulle competenze»: come dire, tranquilli, è una donna, ma è brava. Stéphane Boujnah, patron di Euronext, ha presentato così, poco più di un mese fa, l’arrivo della prima donna alla guida della Borsa di Parigi. Poco importa se le parole del presidente tradiscano quel certo disagio che fa ancora capolino, magari nemmeno consapevole, quando una donna arriva al potere. In particolare nel mondo della finanza. «Mondo virile» diceva, nemmeno tanto tempo fa Edmond de Rotschild. Complice forse il disorientamento planetario provocato dalla pandemia, quell’antico mondo virile sta barcollando.
IN CAMPO
D’Amarzit, 47 anni, già alla direzione del Tesoro francese, poi consigliera dell’ex premier François Fillon, quindi direttrice generale della filiale bancaria di Orange, arriva non solo alla guida della Borsa di Parigi (che, ricordiamo, fino al 1985 si affidava ad un reclutamento maschile per regolamento) ma anche nel direttorio di Euronext: 4500 miliardi di capitalizzazione di società quotate su sei piazze europee e presto sette, quando sarà finalizzato l’acquisto di Borsa Italiana. Nella squadra d’Amarzit troverà altre due colleghe, Simone Huis in ’t Veld, ceo di Euronext Amsterdam (piazza cruciale, dove stanno affluendo gli operatori britannici post-Brexit) e Isabel Ucha, alla guida di Euronext Lisbona. Un’altra “competente”, Julie Becker, dirige il LuxSE, Mercato dei Titoli in Lussemburgo. Anche Oltre Manica la Borsa è al braccio di una donna: meno di due mesi fa Julia Hoggett è arrivata alla guida del London Stock Exchange. La tendenza si conferma oltre-Atlantico: dal maggio 2018 c’è Stacey Cunningham alla presidenza del Nyse di New York, prima Borsa al mondo, (le cronache amano ricordare che Cunningham arrivò nel ’94 come stagista) mentre è Adena Friedman ai comandi del Nasdaq, 3200 società quotate per quasi 20mila miliardi di dollari di capitalizzazione.
I PIANI
La pioniera Christine Lagarde, passata dal Fondo monetario internazionale alla Bce, si sgola dal suo blog a citare gli studi sulla gender diversity che sottolineano quanto farebbe bene, anche in termini di produttività, welfare aziendale, indici finanziari, strategie di investimento, portare più donne alla direzione. Secondo i calcoli di Lagarde, più donne ai vertici finanziari potrebbero contribuire nella maggior parte dei Paesi ad un aumento del Pil fino al 35 per cento. Negli Usa si è pensato di moltiplicare le funzioni di direzione, i posti che cominciano con “c”: oltre ai ceo, anche cfo, coo, eccetera, ovvero, direttore/direttrice dello sviluppo sostenibile, della responsabilità sociale, del digitale, della diversità. In Francia, il ministro dell’Economia Bruno Le Maire ha ammesso che senza una politica di “quote” (che ha funzionato molto bene per i cda, dove ormai le donne sono il 40 per cento) un riequilibrio nei consigli di direzione resterà difficile.
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