Un grumo di case, circondato da uno degli ultimi lembi di campagna vera della piana nolana. Un posto ideale per far crescere i bambini. Quello che incontri si apre al sorriso e ti...
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«Una crisi di rigetto», racconta Daniele Esposito, zio materno della piccola, costretto a fare da filtro davanti alla casa in cui si consuma l’immenso dolore di Pasquale Paesano e Francesca Esposito, la mamma e il papà di Martina. «Mia sorella e mio cognato vogliono stare da soli e in silenzio - continua - devono in qualche accettare l’atroce assurdità di genitori sopravvissuti ad un figlio. Era un angioletto, Martina. Pieno di buonumore e prodiga di sorrisi, nonostante quel tubo infilato nel piccolo petto. Perciò capite. Non è il caso di insistere. I genitori sono morti dentro».
Da martedì scorso, il giorno dell’addio a Martina, Pasquale e Francesca sono chiusi in casa, al terzo piano di una palazzina bianca. Finestre e balconi sprangati e i pochi vicini giurano di non averli visti. A una ventina di metri una donna anziana tenta di prendere il fresco che non c’è in una lingua d’ombra. «La piccirella? - dice la signora Assunta - il buon Dio non ci ha dato il tempo di conoscerla. Mi piange ancora il cuore per quella vita così sfortunata». Sembra un dolore di circostanza, ma non lo è. Qui le distanze tra le abitazioni sono tali da diluire sentimenti e curiosità tra vicini. Distanze che solo i bambini delle varie famiglie sono in grado di avvicinare facendo amicizia e giocando insieme. «Anche se non li conosciamo bene - prosegue Assunta facendo il segno della Croce - ho visto in tutti quei mesi, il papà dell’angioletto stendere il bucato, accompagnare l’altro bambino, insomma ha fatto da papà e mamma, perché è una persona per bene e tutto questo non doveva accadere».
Schiena diritta e forza d’animo fuori dal comune quelle di Pasquale Paesano, titolare di una piccola azienda per la lavorazione degli infissi di alluminio, e di sua moglie Francesca Esposito, maestra in un asilo nido. Una famiglia felice, con un futuro dall’orizzonte del colore della tranquillità. Che è diventato nero pece, quando Martina accusa un malore. La corsa in ospedale. L’attesa angosciosa dei risultati, e il baratro che si apre alla parola cancro. Troppo grande e pesante per uno scricciolo di bambina a cui erano appena stati tolti i pannolini. Eppure quella parola viene cancellata dalla guarigione di Martina, che è costata lacrime e sangue, sofferenze e dolori per una devastante chemio. Strappata alla morte, ma il cuoricino è segnato irrimediabilmente dalla terapia. Un altro baratro da affrontare. Un’altra sfida. Che sembra essere vinta, anche se per un anno la casa di Martina è una stanza del Monaldi, e la sua vita a fluire grazie ad un cuore artificiale, in attesa di un atto d’amore da parte di altro genitori segnati dalla fine di un figlio. Il mese scorso il trapianto, che ridà il colore della tranquillità, seppure ancora sbiadito, all’orizzonte del futuro di Martina e della sua famiglia. Ma poi la falce cade tagliente. Senza pietà, qualche giorno fa. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino