Amedeo Minghi: «Napoli? Quanto degrado. Meglio Milano»

O si ama o si odia. L'antitesi è il suo sentire. Guai a non sapere che lui non può non credere in Dio. E certo. Per forza. E che dissocia però la Chiesa...

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O si ama o si odia. L'antitesi è il suo sentire. Guai a non sapere che lui non può non credere in Dio. E certo. Per forza. E che dissocia però la Chiesa dalla fede, salvo pubblicare brani sacri "commissionati dal Vaticano" nel suo ultimo album "La bussola e il cuore" (per Sony Music, etichetta a cui torna dopo 15); che adora gli indipendenti, ha provato ad esserlo per svariati anni, salvo cedere, per festeggiare i 50 anni di carriera, alla seduzione delle multinazionali, che «hanno comprato tutto, monopolizzato tutto e mortificato l'indipendenza» anche se «gli indipendenti non erano all'altezza di un progetto ampio come questo nuovo album». Insomma politicamente corretto, con le idee chiare e inebriato da se stesso soprattutto quando canta San Francesco, ripetendo "questo sono io".


Amedeo Minghi, in questo contrasto di antipodi trova la sintesi nel risultato dell'emozione e mette d'accordo alla fine  adulti e giovani. Le sue canzoni raccontano l'amore: «Sembra che sappia e parli di noi - dicono i fan - pur non conoscendoci». Il rapporto con il pubblico è viscerale. Viene prima di tutto.  Minghi si tramanda di generazione in generazione, di solito di madre in figlio oppure trasversalmente di coppia in coppia. E lo hanno dimostrato i fan che ieri hanno assediato la libreria Mooks Mondadori a Napoli a caccia delle sue attenzioni. Dopo 33 album, il nuovo cofanetto raccoglie in tre cd i più grandi successi, una decina di brani inediti e alcune rarità risalenti ai primi anni di produzione musicale del cantautore in collaborazione con grandi artisti del panorama italiano da Mogol a Califano,  Mia Martini e Mietta. Adottato da Napoli, (ha anche cantato in dialetto) trova la città degradata «come tutte le grandi città, tranne Milano: lavori strampalati, caos». L'unica cosa che si salva dei napoletani è che «stanno in mezzo la strada, come i romani. Sono popoli di strada e ne avvertono i disagi e l'inefficienza»».   Leggi l'articolo completo su
Il Mattino