Era «inverosimile» che un bambino di quattro anni potesse fare una cosa del genere: «Inverosimile» che si arrampicasse sulla tapparella della finestra,...
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Sei anni dopo la morte di Antonio Giglio, dunque, il giudice respinge la richiesta di archiviazione che era stata formulata dai pm Mozzillo e Falconi e riapre il processo a carico di due imputati: sotto accusa dunque Marianna Fabozzi, madre di Antonio Giglio, che dovrà rispondere di omicidio volontario; mentre per il compagno Raimondo Caputo, viene sostenuta l'accusa di favoreggiamento personale.
Una vicenda amara, destinata a rimanere intrecciata ad un altro episodio doloroso, quello della morte della piccola Fortuna, avvenuta un anno dopo quella di Antonio, in circostanze maledettamente simili. Brutta pagina, brutta sequenza di orrori. Era il 24 giugno del 2014, quando Fortuna precipitò dall'alto del condominio nel quale viveva, sempre tra il settimo e l'ottavo piano. Pochi mesi fa, per la morte di Fortuna, la terza corte di assise appello (presidente Mastursi) ha confermato la condanna all'ergastolo per Raimondo Caputo, ma anche la condanna a 10 anni di reclusione per Marianna Fabozzi, imputata per concorso in violenza su una delle sue tre bambine, che erano poi le amichette di Fortuna.
LA TESTIMONIANZA
Oggi la svolta firmata dal giudice Carola, che ripropone - anche se a parti invertite - la stessa coppia di imputati, in vista di un probabile processo.
Ma proviamo a fare chiarezza sulla storia di Antonio Giglio. Nell'ormai lontano 2013, quel volo dal settimo piano di un palazzo popolare venne rubricato sotto la più blanda ipotesi di omicidio colposo (un incidente, che escludeva l'intenzione di qualcuno di uccidere il piccolo Antonio), nonostante il fatto fosse avvenuto in un ambiente degradato, noto come piazza di spaccio a cielo aperto. Passano i mesi quando cimici e testimonianze spostano l'attenzione sulla madre che, in una conversazione in famiglia, ribadisce un punto: «Non sono stata io, piuttosto mi ammazzavo io...». Dinanzi agli inquirenti, la donna ricorda che il bimbo si è semplicemente sporto perché incuriosito dal passaggio di un elicottero, fino a perdere l'equilibrio, ma la vera svolta arriva nel 2014, quando ormai le condizioni di vita nel parco verde di Caivano diventano un caso nazionale. Morta Fortuna, l'inchiesta batte un'altra pista, quella dell'omicidio volontario, alla luce anche della testimonianza di una donna che sostiene di aver visto Fabozzi scaraventare il figlio giù dal balcone.
Spiegano gli avvocati Angelo e Sergio Pisani, che difendono Gennaro Giglio, padre del piccolo Antonio: «Finalmente oggi lo Stato vuole vederci chiaro e garantire giustizia - dichiarano gli avvocati - ma se le istituzioni fossero intervenute prima, soprattutto con una bonifica ambientale e di tutela dei cittadini, che purtroppo non c'è stata neanche dopo le inspiegabili morti e violenze su tanti bambini, nessuno avrebbe potuto uccidere la piccola Fortuna». A questo punto le carte tornano in Procura, che dovrà esercitare l'azione penale, in vista di un probabile processo a carico dei due imputati. Sei anni dopo il sacrificio del piccolo Antonio, si attende la verità dei giudici sul primo - e purtroppo non unico - atto degli orrori del parco verde.
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Il Mattino