«Mai affidato appalti a quelle ditte, controllate, controllate pure... mai assegnato appalti a imprenditori che vengono oggi indicati dai collaboratori di...
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Penalista e sindaco in cella, Antonio Carpino parla per oltre un'ora e chiede riscontri: «Cosa avrei fatto in cambio? Come avrei onorato questo presunto patto politico mafioso?». Difeso dal penalista Francesco Picca, Carpino ha una notte di cella alle spalle. Ristretto nel carcere di Secondigliano, è accusato di aver sborsato oltre diecimila euro per comprare voti (cinquanta o cento euro per ogni tessera), offrendo appalti, assunzioni e soffiate in cambio del sostegno elettorale decisivo per indossare la fascia tricolore. Sindaco del Pd per cinque anni, pronto a candidarsi al bis alle amministrative di settembre, colpito dagli arresti in cella, risponde per oltre un'ora alle accuse. Davanti a sé, Carpino ha il gip Egle Pilla, che ha firmato la misura cautelare su richiesta del pm anticamorra Liana Esposito. Si entra subito nel vivo delle accuse. Agli atti ci sono le dichiarazioni di cinque collaboratori di giustizia, che lo accusano di aver sborsato soldi per comprare voti, di aver dato il via libera a una coop di ex detenuti per la manutenzione ordinaria a Pontecitra, un modo - ha spiegato il pentito - di fare assunzioni fittizie e assicurare al clan entrate pulite e tracciabili. Come ha replicato al fuoco di fila delle accuse? Si è soffermato su due soggetti in particolare: Luigi Esposito, alias o sciamarro, e Cristiano Piezzo, a sua volta pronto ad accreditarsi come una sorta di Robin Hood in difesa degli occupanti abusivi delle case di Pontecitra. Entrambi sono pentiti e hanno accusato Carpino.
Come si difende il sindaco? «Esposito è stato per anni mio cliente, l'ho difeso in alcuni processi. È vero che gli ho chiesto una mano per le elezioni del 2015, ma l'ho fatto nel rapporto penalista-cliente, senza dare vita ad un patto di natura politico-mafiosa. Ho fatto campagna elettorale, tutto qui, ma solo nell'ambito del rapporto avvocato-cliente». E Piezzo? Che motivi aveva l'ex boss locale di accusare il sindaco? «Ci sono motivi professionali passati, sempre per il mio mandato di penalista, ma anche alcuni dinieghi da sindaco che potrebbero aver alimentato le accuse che ora Piezzo mi rivolge», ha ribadito Carpino: «Ce l'ha con me, ci sono motivi di risentimento per vicende legali e per alcuni no che ho scandito in questi anni». Vengono indicati degli elementi che ora spetta al giudice e alla stessa Dda di Napoli valutare nel quadro ricostruito in questi anni. Poi c'è la storia della coop. Per il giudice non ci sono dubbi. Era una contropartita, un modo per assicurare alla camorra locale assunzioni fittizie e soldi puliti. Replica Carpino: «Una iniziativa mai nata, che non nasce da una mia idea, che non ho sponsorizzato io, ma nacque da una proposta di un consigliere della mia lista». Agli atti finisce il nome del portavoce di questa iniziativa, facile intuire che verranno condotte verifiche incrociate sul progetto legato alla coop.
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Poi il discorso è caduto sulla storia dei pulmini. Ne parlano alcuni pentiti, tra cui lo stesso Piezzo che ricorda di aver visto Esposito circondato da donne anziane, mentre salivano sui pulmann noleggiati dalla camorra per spostare gli elettori da Pontecitra alle urne. C'è chi parla di un investimento di duecento euro da parte della camorra, sempre nell'ottica di un accordo sottobanco tra Carpino e i clan del posto. Ha spiegato ieri il sindaco al giudice: «Nulla di più falso. Li ha noleggiati un collega che era con me in lista, credo si possa recuperare la fattura nel comitato elettorale. Avvenne alla luce del sole, abbiamo pagato noi del comitato, quel pulmino serviva a coprire le diverse zone della città, ovviamente in una logica di propaganda elettorale». Indagini in corso, verifiche su appalti e scelte amministrative, mentre subito dopo gli arresti il sindaco ha rassegnato le proprie dimissioni, ritirando la propria candidatura per il voto di settembre. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino