Regio Decreto sul riordinamento del Banco di Napoli. È l'intestazione di un decreto del 27 aprile 1863, firmato dal Re d'Italia Vittorio Emanuele II. Un esemplare...
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E proprio a New York - così come in tante altre città - era presente una sede dell'istituto, il primo ad aprire filiali oltreoceano. Il racconto si dipana attraverso il ricchissimo repertorio di testimonianze inserite nella raccolta, con centinaia di pezzi, suddivisi tra manifesti, locandine, fotografie, volumi, medaglie, assegni e persino i primi libretti di conto corrente del 1878. «Sono i più antichi conti correnti conosciuti», sottolinea Bonelli. E subito dopo compaiono le fedi di credito - una sorta di moneta ante litteram - che venivano emesse dall'istituto due secoli fa. In una compare il nome di Pietro Colletta, con la data dell'8 agosto 1814. «Il Banco delle Due Sicilie tiene creditore il signor Pietro Colletta», si legge sulla pergamena. Mentre in un'altra si scorge il nome di Francesco Saverio Mercadante. «Ripercorrere la vicenda del Banco di Napoli vuol dire raccontare la storia economica dell'intero Mezzogiorno - spiega Bonelli - a partire dalla cartamoneta, che fu stampata dall'istituto fino al 1926». Tra i relatori, lo studioso di numismatica e di storia della moneta Giovanni Ardimento. «Le prime fedi di credito risalgono al 1463 e furono emesse dai Banchi pubblici napoletani, in particolare dalla Casa Santa dell'Annunziata. La fede di credito, che in realtà è un'emanazione della fede di deposito, è abilitata alla circolazione di un atto di girata e quindi trasforma un titolo di credito in cartamoneta vera e propria. Questa è stata una svolta dal punto di vista monetario. Il Banco di Napoli ha ereditato la fede di credito come strumento finanziario e l'ha perfezionato. Nel 1926 il Banco di Napoli - conclude Ardimento - ha cessato la sua funzione di istituto di emissione ed ha ceduto alla Banca d'Italia l'emissione in esclusiva». Per l'ex assessore comunale Nino Daniele «quella del Banco è una vicenda che è una parte fondamentale della nostra identità, soprattutto per il modo in cui si è consumata nel tempo. È una materia di riflessione ancora attuale. Mi piace ricordare il grande studioso Gustavo Minervini, che si batté moltissimo per la salvezza del Banco di Napoli e che fu mio collega in consiglio comunale nei primi anni '80». I numerosi documenti sul vecchio istituto si susseguono nelle foto e nei video proiettati durante il convegno. Le vicende dell'istituto si intrecciano anche con quella del ventennio fascista. In una delle bacheche del Museo si scorge un libretto del poeta futurista Cangiullo del 1939, dedicato al Banco. «Fu stampato in 125 esemplari. Poi Cangiullo, dopo la seconda guerra modiale, decise di farli scomparire per le frasi antisemite che vi erano contenute e questa è l'unica copia superstite. Il Banco di Napoli non esiste più ma c'è una storia plurisecolare che merita di essere tramandata, attraverso i documenti - conclude Bonelli - che ho salvato dall'oblio. L'uncia banca napoletana oggi è la Bcc». Accanto a lui, il vicepresidente Ferdinando Flagiello. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino