Baby stupratore di Caivano in comunità, ​i pm: «Deve tornare in cella»

Parco Verde: il 14enne lascia il carcere, la Procura presenta una nuova richiesta di arresto

Il parco Verde di Caivano
Un braccio di ferro sul ruolo del più giovane del presunto “branco”. Sulla sua condotta, sulle sue responsabilità, ma anche sul percorso che lo Stato...

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Un braccio di ferro sul ruolo del più giovane del presunto “branco”. Sulla sua condotta, sulle sue responsabilità, ma anche sul percorso che lo Stato deve assicurare a proposito di formazione e riabilitazione. In sintesi, pochi giorni fa, il gip del Tribunale per i minori ha revocato gli arresti in cella per il 14enne che avrebbe preso parte al branco di stupratori di Parco Verde. Per lui niente carcere, sì al trasferimento in comunità, anche in vista della possibilità di dare seguito al corso di studi interrotto quindici giorni fa, quando sono scattate le manette ai polsi. Una rivalutazione delle accuse e delle esigenze cautelari, che ha spinto la Procura a presentare istanza al Tribunale per il Riesame, con una richiesta di arresti bis, che ovviamente ora attende la valutazione del collegio di giudici dei Colli Aminei. Una partita aperta, secondo le regole della nostra giurisdizione, un braccio di ferro da inserire nella ordinaria dialettica giudiziaria tra pm, avvocati e giudici. Proviamo a fare chiarezza. 



Al centro del confronto che si terrà dinanzi al Riesame, spicca la figura del 14enne, il più giovane del presunto branco che avrebbe esercitato violenza nei confronti di due cugine, due ragazzine di 11 e 12 anni, la scorsa primavera a Caivano. Parliamo dell’orrore che si sarebbe consumato a ridosso di parco Verde, tra la zona della villa comunale, una ex struttura sportiva e un’ex area ecologica. Due bambine stuprate, sette indagati (più due maggiorenni) finiti agli arresti. Tra questi anche il 14enne, che - nella ricostruzione dell’accusa - avrebbe svolto un ruolo nelle ripetute sevizie riservate alle due bambine. Era presente quando i più grandi agivano con violenza, era come se facesse il “palo”, assicurando una sorta di vigilanza a chi consumava gli stupri. Per gli inquirenti non ci sono stati dubbi, tanto che il gip del Tribunale dei minori lo scorso 26 settembre ha firmato per lui la detenzione in un istituto di pena minorile.

Un quadro che è cambiato lo scorso 5 ottobre, quando il gip del Tribunale dei minori ha scarcerato il 14enne, disponendo per lui il trasferimento in una comunità. Un provvedimento per il quale la Procura dei minori ha deciso di presentare una istanza al Tribunale del Riesame, nella convinzione che la destinazione più adeguata per il giovane indagato - allo stato delle indagini - sia quella della detenzione in cella. Una posizione duramente contrastata dai legali del 14enne, gli avvocati Pietro Rossi e Nunzia Amoroso, che hanno ottenuto una prima scarcerazione pochi giorni fa e che nei prossimi giorni si accingono a una nuova battaglia dinanzi al Tribunale del Riesame. Un confronto che fa leva sul materiale investigativo raccolto dalla Procura dei minori guidata da Maria de Luzenberger e dalla Procura di Napoli nord, sotto la guida della procuratrice Maria Antonietta Troncone, che hanno valorizzato il lavoro dei carabinieri del comando provinciale di Napoli.

Vicenda dolorosa, che fa leva sulla testimonianza delle due bambine, ma anche sul contenuto ricavato dai server dei telefoni cellulari sequestrati. In sintesi, la scorsa primavera le due bambine sono state attirate ripetutamente in trappola. Prima le hanno tolto i telefoni cellulari, costringendole a seguire i propri aggressori in luoghi appartatati. Poi il revenge porn. La gogna mediatica. Gli stupri e i film, con le immagini che vengono trasmesse a mezzo social. Ed è stato così che le sevizie subite dalle due bambine sono emerse, come ha raccontato il Mattino lo scorso agosto. È il fratello di una delle piccole che viene a sapere dei «video sporchi» che girano a Caivano, avvertendo i genitori, dando così la stura alle indagini. In pochi giorni - e siamo tra agosto e settembre - la svolta, con la decisione delle due piccole di raccontare (ed elaborare il proprio vissuto). È l’inizio della fine. Di fronte a una donna, una maresciallo dei carabinieri, le due bambine trovano nell’ambiente della caserma le condizioni ideali per poter spiegare il senso di frustrazione per quanto vissuto in pochi mesi: la storia dei cellulari rubati, dei video, delle violenze. Che non finivano mai, neppure di fronte a quel «mi fai vomitare» che più volte viene ripetuto da una delle due. Materia grave e drammatica al tempo stesso, ora la partita si sposta dinanzi al Riesame. 
 

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Il Mattino