Camorra, affari e punizioni: così l'«uomo nero» dettava la sua legge

Camorra, affari e punizioni: così l'«uomo nero» dettava la sua legge
Nell'ambiente non a caso è noto come «l'uomo nero», come a voler rimarcare i lati oscuri della personalità di un soggetto tanto determinato...

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Nell'ambiente non a caso è noto come «l'uomo nero», come a voler rimarcare i lati oscuri della personalità di un soggetto tanto determinato quanto all'apparenza distinto. L'ascesa di Umberto Luongo alla reggenza del clan Mazzarella-D'Amico sui territori di San Giorgio a Cremano e Portici è infatti sempre stata caratterizzata da un profondo senso di rispetto dei ruoli. In primis nei confronti dei vertici della cosca di Napoli Est, con l'amicizia con Umberto D'Amico affinatasi negli anni della detenzione in carcere dal 2011 al 2015, ma anche - paradossalmente - verso i tutori di quella legge che i suoi uomini non si facevano scrupoli a calpestare per imporre il proprio dominio. Nessuna espressione ingiuriosa rivolta alle forze dell'ordine, solo uno dei numerosi diktat imposti a tutti i suoi sodali.


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SOLDI E VIOLENZA
È negli affari, tuttavia, che la fermezza di Luongo emergeva in tutta la sua ferocia. Azioni ricostruite grazie al lavoro certosino dei carabinieri della stazione di San Giorgio dal 2016 al 2018. Già durante la reclusione, il 42enne aveva manifestato le proprie intenzioni mentre, giorno dopo giorno, si guadagnava la fiducia dei boss di San Giovanni a Teduccio: «Al momento opportuno, prenderemo noi il controllo della città» scriveva in un pizzino trovato recuperato dai militari addosso a un affiliato gambizzato dai rivali nel 2012 in via Dalbono. Una tela tessuta da dietro le sbarre, concretizzatasi nella formazione di un vero e proprio clan, costola dei D'Amico con l'appoggio dei Mazzarella. Il controllo del territorio, invece, passava attraverso richieste estorsive ai commercianti e tasse imposte ai capi delle piazze di spaccio. Pugno di ferro per chi sgarrava, e a temere la furia dell'uomo nero erano soprattutto i suoi sottoposti: spacciatori, faccendieri, fino addirittura ai killer. Tra le punizioni abituali, quella della chiusura delle dita in un cassetto. Lo stesso Luongo, racconta un episodio descritto nell'informativa, si sarebbe scagliato in prima persona con schiaffi e percosse contro uno dei suoi sicari, colpevole di aver mancato un bersaglio facile per questioni di cattiva mira e aver messo così in cattiva luce la cosca agli occhi dei boss napoletani. Pistoleri dal grilletto facile, pronti a gambizzare i pusher che non si piegavano alla supremazia del clan o addirittura a fornire supporto nelle faide di camorra dell'alto Salernitano. Scambi di manovalanza preziosi anche per consolidare la propria egemonia su San Giorgio e spazzare via i rivali del clan Troia, definitivamente sgominati da un'operazione dei carabinieri nel dicembre 2017.

IL RISCHIO

I buoni rapporti con Napoli Est, testimoniati dalla partecipazione attiva del 42enne nell'omicidio Mignano, avevano trasformato la sua residenza di via Dalbono in un punto di ritrovo per alcuni summit di camorra a cui presenziavano non di rado esponenti di spicco dei Mazzarella. La ferrea disciplina di Luongo, tuttavia, lasciava di tanto in tanto spazio a piccole stravaganze di sorta, come l'abitudine a viaggiare in un'auto blindata o quella di organizzare - secondo il racconto diretto di un testimone - partite a carte con in palio ingenti somme di denaro: proprio nel corso di una di queste «bische» uno dei partecipanti avrebbe rischiato la vita dopo aver provato a barare. Il giovane si sarebbe sottratto al linciaggio dopo essere sgattaiolato dall'appartamento e aver trovato rifugio nella vicina caserma. La preoccupazione maggiore, con l'uomo nero ormai fuori dai giochi, riguarderà ora il vuoto di potere lasciato in eredità. Gli ultimi avvenimenti, tra l'omicidio dell'antivigilia di Natale e bombe carta, parrebbero esserne la conferma. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino