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Sembra finita l'era degli spalloni, quelli che varcavano il confine con le borse piene di banconote, magari nascoste anche nel doppiofondo degli stivali, per andare a collocare i propri risparmi in banche estere. Quelli che poi rientrano in Italia, quando bisogna reinserire moneta contante nel circuito economico, per manovre e investimenti al riparo dal fisco. Per essere chiari, sembra cambiata la strategia per riciclare denaro - sia esso provento di evasione fiscale o di attività illecite (magari di origine mafiosa) -, grazie alla nuova frontiera della tecnologia digitale e informatica. Ne sono convinti gli inquirenti della Procura di Napoli, che appena una ventina di giorni fa hanno messo a segno un blitz nel Vesuviano, che potrebbe aver dato conferme a una ipotesi choc: il riciclaggio avviene tramite la valuta elettronica; c'è chi riesce a spostare enormi somme di denaro all'estero, ottenendo bit coin, moneta che può essere poi spesa in qualsiasi parte del mondo e che non deve essere giustificata, non va dichiarata, né può essere tracciata con i normali strumenti di tracciamento usati dagli inquirenti in Italia e all'estero. Moneta che non deve essere spostata fisicamente da una banca estera a un conto nazionale, abbattendo una buona dose di rischi da parte di chi prova ad eludere le maglie dei controlli.
Ma c'è un'altra ipotesi in queste ore al vaglio dell'autorità giudiziaria napoletana: una massa enorme di soldi viene collocata in una banca della Lettonia, potenziale centro propulsore di quella trasformazione di valuta che consente di cambiare soldi sporchi in monete elettroniche neutre e al riparo da ogni controllo.
Inchiesta condotta dal pool reati finanziari, sotto il coordinamento del procuratore aggiunto Vincenzo Piscitelli, al lavoro i pm Cozza, Onorati, Raimondi, spunta la frontiera informatica. O meglio: il canale digitale che sarebbe stato usato fino a questo momento per trasferire capitali all'estero, per tramutare moneta sonante in valuta elettronica. Evasione fiscale, riciclaggio sono le accuse ipotizzate in uno scenario investigativo che si estende ad altri paesi europei. Riflettori puntati sulla repubblica baltica, nel cuore economico e finanziario dello Stato della Lettonia, nell'archivio di un edificio che produce interscambi con realtà di mezzo mondo. E che sviluppa volumi di contabilità elettronica.
Eccolo il sospetto su cui lavora la Procura di Gianni Melillo: soldi di soggetti insospettabili sarebbero stati fagocitati nel cervellone elettronico del trust lettone, grazie a una contabilità che rende sfumato qualsiasi tipo di verifica ex post. Ma non è tutto. Non c'è in questo caso alcuna contestazione legata a fatti di camorra o a scenari criminali, ma il sospetto - almeno da un punto di vista giornalistico - non può non essere fatto: il filone della moneta elettronica viene usato anche dai clan napoletani? Dove finiscono i proventi delle piazze di spaccio? Anche la camorra ha imparato a riciclare con i bit coin?
Il Mattino