Patrimonio pubblico in Campania uno spreco da 40 milioni all'anno

Patrimonio pubblico in Campania uno spreco da 40 milioni all'anno
Quaranta milioni di euro. È la differenza in negativo tra quello che incassa la Pubblica amministrazione in Campania dalle locazioni degli immobili e dei terreni di sua...

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Quaranta milioni di euro. È la differenza in negativo tra quello che incassa la Pubblica amministrazione in Campania dalle locazioni degli immobili e dei terreni di sua proprietà e quello che invece spende per l'affitto di locali altrui nei quali svolge parte della della sua attività. Il paradosso emerge in tutta la sua evidenza dallo studio dell'Associazione dei costruttori di Napoli, presieduta da Federica Brancaccio («Patrimoni immobiliari pubblici in Campania: ricognizione e proposte»), a cura di Francesco Verde e Bruno Discepolo (quest'ultimo vi ha lavorato prima di essere nominato assessore regionale) e presentato ieri nell'affollata sala convegni dell'Unione industriali. Finanziato dall'Ance Campania e dalla stessa Acen, il lavoro conferma, con una grossa e dettagliata quantità di dati (almeno di quelli disponibili) quanto sia decisamente ancora lontano l'obiettivo di valorizzare e quindi di mettere a reddito nell'interesse dello Stato un patrimonio immobiliare di enormi proporzioni.


In Campania, su un totale di oltre un milione di cespiti censiti, più di 62mila (quasi il 6%) risultano non in uso e quasi un terzo sono in condizioni mediocri o pessime.

«Ci sono 5mila immobili in Campania dai quali la Pubblica Amministrazione nel suo complesso, dalla Regione ai Comuni, dalle Asl alla Città metropolitana di Napoli, alla Difesa per ciò che riguarda le caserme e gli altri immobili militari, incassa circa 15 milioni di euro all'anno.
 
Ma per affitti passivi, ovvero le locazioni pagate ad altri proprietari, ne spende 55 di milioni». Il paradosso, che per molti versi equivale ad uno spreco di risorse pubbliche piuttosto evidente, coinvolge pressoché tutti gli enti pubblici anche se non mancano gli esempi virtuosi. Puntuale anche in questo senso la ricognizione dello studio, compendiato in tre volumi: l'Inps, ad esempio, con 586 beni in locazione attiva percepisce canoni annuali pari a circa 2,2 milioni ma ne spende il triplo per 30 beni in locazione passiva; l'Inail, al contrario, incassa circa 3 milioni dai suoi 154 beni pur spendendone quasi 1,4 milioni di affitti passivi. Nella sanità, uno dei portafogli immobiliari più significativi della nostra regione, a dispetto del ricco patrimonio posseduto, si registra un differenziale negativo che supera i 9 milioni. Anche nel sistema universitario la situazione non cambia: a fronte di valori attivi che superano di poco un milione 890 mila euro i costi per l'utilizzo di altre sedi superano in 3 milioni e mezzo.
PALAZZO SAN GIACOMO
Curioso e da approfondire il dato emerso a proposito del Comune di Napoli: il più 18 milioni di euro che emerge dal saldo tra locazioni attive e passive corrisponderebbe in realtà all'ammontare complessivo delle bollette di locazione emesse per gli affittuari di immobili di edilizia residenziale pubblica che sono una parte del patrimonio complessivo e che spesso non producono un gettito analogo. Là dove l'edilizia residenziale pubblica non c'è o è molto limitata i conti sono inevitabilmente negativi: è il caso del Comune di Caserta che registra un saldo in perdita di circa 345mnila euro all'anno pur annoverando, spiega lo studio dell'Acen, 232 beni di proprietà, 22 in locazione attiva e 8 in quella passiva. Il mancato utilizzo di questo patrimonio (comune peraltro a quasi tutta l'Italia ma con punte maggiori al Sud) non è soltanto, come detto, uno spreco di risorse pubbliche. È anche il detonatore di altre criticità tutt'altro che marginali: gli immobili in disuso perché fatiscenti o abbandonati generano degrado anche socio-ambientale. In altre parole, alla perdita di valore del bene si aggiunge un costo sociale oltre che ambientale per il territorio. Di fronte a uno scenario comunque complesso i costruttori di Napoli lanciano una proposta che già in parte, attraverso la collaborazione con l'Agenzia del Demanio, si sta consolidando. «Lo studio dice Federica Brancaccio è la base di partenza per un salto di qualità nel processo di valorizzazione di questo patrimonio che ha una base certa: un piano economico-finanziario sostenibile, fornito dallo stesso studio e ancorato alle attuali condizioni di mercato, che di fatto equivale ad un piano di pre-fattibilità».

In altre parole il capitale privato si offre di ragionare con l'ente proprietario (e ovviamente con l'Agenzia del Demanio) per la riconversione, la valorizzazione e nel caso anche l'alienazione del patrimonio stesso anche attraverso il cambiamento della destinazione d'uso come dimostrano i due casi approfonditi dallo studio e di cui parliamo in questa pagina. «Oltre ad essere una straordinaria opportunità per l'abbattimento del debito e la razionalizzazione della spesa delle amministrazioni locali e dello Stato spiega la presidente dell'Acen rappresenta una grande occasione per sperimentare interventi di rigenerazione dei centri urbani, riqualificandoli e rendendoli più attrattivi». Beni finalmente di uso pubblico, insomma, al posto di monumenti all'abbandono e all'incuria senza impegnare somme di denaro pubblico: sembra l'equazione perfetta e forse non meno realizzabile di quanto sfiducia e rassegnazione potrebbero indicare.
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Il Mattino