Capodimonte, ecco il museo immaginario: da Muti a Sgarbi tanti «curatori»

Capodimonte, ecco il museo immaginario: da Muti a Sgarbi tanti «curatori»
Il museo è negli occhi di guarda. E così, oggi a Capodimonte vedremo come le dieci personalità - Riccardo Muti, Vittorio Sgarbi, Marc Fumaroli, Paolo Pejrone,...

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Il museo è negli occhi di guarda. E così, oggi a Capodimonte vedremo come le dieci personalità - Riccardo Muti, Vittorio Sgarbi, Marc Fumaroli, Paolo Pejrone, Giulio Paolini, Francesco Vezzoli, Laura Bossi Régnier, Giuliana Bruno, Mariella Pandolfi e Gianfranco D'Amato - che hanno accolto l'invito del direttore Sylvain Bellenger e di Andrea Viliani, direttore del Madre, a partecipare al progetto «Carta Bianca. Capodimonte imaginaire» - da oggi fino al 17 gugno - hanno interpretato il museo secondo la loro sensibilità.


A questi dieci curatori «eccellenti», a conclusione dell'allestimento si aggiungerà poi il pubblico: a partire da oggi ogni visitatore potrà fotografare le dieci opere del suo allestimento virtuale che a fine giugno verrà sottoposto al vaglio della giuria, composta dai dieci curatori e presieduta da Sylvain Bellenger: il vincitore potrà vedere la propria sala allestita. Riccardo Muti ha scelto il tema del silenzio, una condizione essenziale per un musicista quanto il bianco per un pittore, ispirato da un'opera che aveva visto al museo da studente, la «Crocifissione» di Masaccio: il Cristo costretto in un corpo sofferente, le tre figure dolenti di Maria Vergine e Giovanni Evangelista ai due lati della croce, Maria Maddalena inginocchiata, in posa quasi lirica, il viso nascosto, soltanto il capo reclinato e le braccia alzate protese in ultimo abbraccio che si staccano dal mantello rosso. Un'opera piccola, una tavola di legno che misura appena 83 centimetri per 63 - è parte del Polittico di Pisa che l'artista dipinse nel 1426 - che è un'esplosione di luce per il suo sfondo aureo e che il maestro ha scelto di esporre in una sala buia allestita soltanto con una sedia.

Tra i dieci «curatori» Muti è stato l'unico a decidere di raccontare Capodimonte, un museo che ha frequentato fin da quando era ragazzo, con un'unica opera. Gli altri nove hanno preso per le loro sale tutte le dieci opere concesse per ogni allestimento - qualcuno, che ha immaginato un dialogo d'arte attraverso il tempo, anche di più - scegliendole tra le 47mila delle collezioni esposte e tra quelle conservate nei depositi. Così Giuliana Bruno, docente di Visual and Environmental Studies presso la facoltà di design dell'Università di Harvard e autrice di un Atlante delle emozioni: in viaggio tra arte, architettura e cinema ha chiesto per il suo allestimento, accanto a «Sant'Agata» di Francesco Guarino e alla «Natura morta con testa di caprone» di Giovan Battista Recco anche opere dai magazzini, nonostante su alcune delle tele, non restaurate, il disegno originario sia ormai irriconoscibile. Laura Bossi Régnier, neurologa e storica della scienza ha lavorato invece sul tema del rapporto tra l'uomo e l'animale mettendo insieme «Arrigo Peloso, Pietro Matto e Amon Nano» di Agostino Carracci a sculture e porcellane. Gianfranco D'Amato, industriale e collezionista di arte contemporanea, ne metterà in mostra più di dieci avendo scelto di allestire la sua sala con un dialogo tra antico e contemporaneo: sono addirittura tre le opere nel caso di «Apollo e Marsia», il dipinto di Jusepe de Ribera nel 1637 con il satiro ritratto mentre urla tutto il suo dolore sotto le torture del dio, che è esposto insieme alle immagini di Mimmo Jodice per l'evento «Transiti» del 2008, uno scatto dei «battenti» accanto ad un particolare del quadro del caravaggista spagnolo.

L'architetto paesaggista Paolo Pejrone ha scelto invece il tema dell'ombra e ne ha costruito il percorso attraverso dieci dipinti di paesaggi tra cui «Ppaesaggio con ninfa Egeria» di Claude Lorrain ed opere di Giovanni Lanfranco, Annibale Carracci, Francersco Lord Mancini. Ha fatto fatica ad accontentarsi di dieci opere appena, tra cui «Atalanta e Ippomene» di Guido Reni e dipinti di Parmigianino, Battistello Caracciolo e Lorenzo Lotto lo storico e critico d'arte Vittorio Sgarbi. Lo storico e saggista francese Marc Fumaroli è l'unico tra i dieci curatori di «Carta Bianca» che oggi non sarà presente all'inaugurazione della mostra, sarà suo figlio a raccontare le ragioni delle scelte - Bernardo Cavallino, Jusepe de Ribera e Massimo Stanzione - per il suo allestimento. Ha scelto anche sculture, tra cui quelle di Gemito e Canova l'artista Francesco Vezzoli che ha allestito la sua sala su tema degli sguardi.

 

Anche chi non sarà presente oggi all'inaugurazione potrà comunque ascoltare ciascun «curatore» raccontare il suo Capodimonte immaginario scaricando una «app» gratuita realizzata da ARM23: da Riccardo Muti all'artista concettuale Giulio Paolini ognuno di loro ha registrato un video destinato al pubblico in cui spiega come ha reinterpretato le collezioni del museo. Per la mostra è stato immaginato un prologo con una sala dedicata a Joseph Beuys che a Capodimonte, poco prima di morire, espose la monumentale «Palazzo Regale» e che invece non ha fatto in tempo a donare una sua opera alla collezione di arte contemporanea del museo: sarà esposta la sua opera «Alcune richieste e domande sul palazzo nella testa umana» insieme ad opere e documenti prestati dalla Fondazione Lucio Amelio.

Sylvain Bellenger, impegnato ieri fino a tardi negli ultimi ritocchi all'allestimento, ha affidato ad un video dell'Ansa la sua dichiarazione sul senso della mostra: «uscire dall'idea che in un museo l'unico filo sia quello della storia dell'arte. La modernità - suggerisce il direttore - è nello sguardo» e dieci persone che sono fuori dal museo con carta Bianca «ci hanno consegnato il loro sguardo particolare, intimo e personale».
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Il Mattino