Capodimonte, a Napoli si cambia con svolta green e più mostre: «È il nuovo polo dell’arte»

Capodimonte, a Napoli si cambia con svolta green e più mostre: «È il nuovo polo dell’arte»
Sarà un “nuovo Capodimonte”. Il museo e il parco si preparano a un anno intenso, di progettazione e di rinnovamento generale sul piano delle collezioni, della...

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Sarà un “nuovo Capodimonte”. Il museo e il parco si preparano a un anno intenso, di progettazione e di rinnovamento generale sul piano delle collezioni, della programmazione di mostre e delle aperture di spazi. Tutto parte da una svolta dal punto di vista dell’efficientamento energetico mentre bisogna fare fronte alla mancanza di personale: per l’ente guidato da Sylvain Bellenger il prossimo sarà dunque un periodo all’insegna della transizione energetica e del lavoro, in un panorama internazionale scosso dalla guerra tra Russia e Ucraina e nello scenario italiano in cui si vedranno anche nei beni culturali, o almeno si spera, gli effetti del Piano nazionale di ripresa e resilienza.



Partiamo dall’energia. Per ora si sa che lo scorso autunno la Engie Servizi si è aggiudicata un appalto per la manutenzione, il restauro, la rifunzionalizzazione e la riqualificazione del museo e del Real Bosco, nonché per la gestione integrata dei servizi energetici, tecnologici e multimediali. I tempi in cui l’ente museale inizierà la conversione alle fonti rinnovabili ancora non si conoscono, ma di sicuro i lavori per l’intervento, non da poco su un’area tanto estesa, inizieranno entro la fine del 2022: non c’è da perdere tempo, se è vero che le bollette delle tante sedi di Capodimonte e dell’illuminazione di un parco così grande diventeranno astronomiche, specie a partire dal prossimo autunno, con i rincari dovuti alla crisi ucraina e alle sue conseguenze sul blocco delle importazioni di gas. Un’altra urgenza è quella dei posti di lavoro.

Le percentuali di posizioni scoperte vanno dal 60% nei reparti di custodia e in quelli amministrativi al 90% nel settore della curatela scientifica. Trasposto in cifre, se mancano ben 74 custodi di curatori interni ce n’è solo uno mentre da organigramma redatto nel 2016 – all’indomani della riforma Franceschini – ce ne dovrebbero essere 7, per fare fronte alla valorizzazione delle 47mila opere appartenenti al museo: sarebbero necessarie, ad esempio, una figura che si occupi dal punto di vista scientifico delle porcellane, un’altra per le stampe, un’altra ancora per l’arte contemporanea e così via, per non parlare di chi possa dedicarsi agli atti e ai bandi di gara. Il nodo è il punto debole della stessa riforma che non dà autonomia ai musei sul piano occupazionale: recentemente da Capodimonte sono stati emessi avvisi pubblici di selezione per gli uffici mostre e prestiti, ma si tratta di poche posizioni e peraltro a tempo determinato.

Quello dell’ampliamento dell’occupazione è un modo per tenere testa all’ambizioso programma di impegni, progetti e aperture immaginate da Bellenger, il direttore straniero ma sempre più napoletano, lo stesso a cui è dedicata parte di un capitolo di “Con la cultura non si mangia?”, il volume di Dario Franceschini in uscita in questi giorni. «Fu proprio a Capodimonte che nel 1980, da giovane insegnante di filosofia, folgorato dalla Crocifissione del Masaccio, decise di mollare tutto per studiare storia dell’arte» scrive il ministro della Cultura.

Per il “nuovo Capodimonte” Bellenger progetta in grande, in collaborazione con il Mic e col governo, anche tramite la Cassa depositi e prestiti che a inizio aprile ha tenuto, non a caso, il primo roadshow per il territorio proprio nel museo collinare. Sarà infatti la Cdp che sosterrà l’allestimento di 10 sale del “cabinet” delle porcellane nell’Appartamento reale, che sarà realizzato nel 2023 in collaborazione con Federico Forquet e col supporto scientifico di Angela Caròla Perrotti. Un’operazione ideata per la valorizzazione di una delle più importanti collezioni in Italia di porcellane e ceramiche, composta da oltre 6mila pezzi, che riprende l’intuizione di Annibale Sacco che dal 1872 riunì a Capodimonte le porcellane acquisite dalla corte borbonica.

C’è inoltre un progetto che riguarda gli edifici del parco e che passa, in primo luogo, dal potenziamento del laboratorio di creazione delle ceramiche. Poi, molto probabilmente, la palazzina davanti al museo diventerà una dependance dedicata all’arte contemporanea, in particolare ospiterà la collezione di arte povera della galleria Lia Rumma, come annunciato dalla stessa gallerista pochi giorni fa alla Biennale di Venezia. E nella stessa nuova ala dovrebbe trovare posto una parte delle foto di Mimmo Jodice. Ancora, è in fieri il restauro del corpo centrale del museo: i lavori potrebbero durare molto, forse due anni, e nel frattempo quella parte dell’impianto espositivo resterebbe chiusa. Ma il pubblico non dovrà rinunciare alle meraviglie di Capodimonte che saranno visitabili a Napoli, in varie mostre allestite in altre sedi, e in giro per il mondo, secondo un circuito di prestiti che vede il museo al centro della scena internazionale dell’arte. 

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Il Mattino