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Innamorarsi e dirsi «sì» dietro le sbarre. È successo a Napoli, dove due detenuti della casa circondariale di Poggioreale si sono uniti civilmente in matrimonio: è la prima volta che accade nella struttura penitenziaria cittadina, ed è una buona notizia che rappresenta il segnale di un passo avanti verso la piena affermazione dei diritti civili che restano uguali per tutti, anche e soprattutto per chi vive la condizione carceraria.
Giulio ha 35 anni, Alberto 32: il destino fa sì che le loro storie si incrocino per sventura comune al di là del carcere. Ciascuno ha il suo passato segnato da qualche turbolenza, e così succede che - dopo l'arresto - i due si conoscano durante le ore d'aria; primi fugaci sguardi d'intesa, che presto diventano occhiate complici e segrete perché, si sa, al di là di quelle mura tutto rischia di diventare più complicato e, forse talvolta, persino pericoloso. Poi però Giulio e Alberto iniziano a parlarsi, e poco importa se qualche altro recluso storce il naso o fa battutacce, perché quando la forza del sentimento si trasforma in passione pura, beh allora riesci a vedere tutto con un entusiasmo nuovo.
Non è un fuoco di paglia: i due scoprono di volersi bene: «Ma tu lo sai che a Roma in carcere, sì proprio in carcere, due detenuti si sono sposati? L'ho letto sul giornale ieri», domanda Giulio al compagno un giorno. «Ma dai...». E invece quella notizia comincia a scavare come un tarlo, tessendo un altro filo tra i due.
Poi però arriva il giorno della scarcerazione per il primo. Il «fine pena» non coincide, ma questo non provoca traumi né separazione. Per l'altro che resta recluso a Poggioreale il tempo che lo separa alla libertà è pur sempre vicino. Ma ormai la decisione è stata presa: e così Giulio e Alberto decidono di unirsi civilmente senza aspettare oltre. Ieri la cerimonia, all'interno della Sala Magistrati del «Salvia», celebrata da un responsabile dell'ufficio di stato civile del Comune, e presenti alcuni parenti, funzionari della Direzione della casa circondariale e gli educatori della struttura. Tra i partecipanti c'era anche Antonello Sannino, presidente di Antinoo Arcigay Napoli (che ieri ha diffuso la notizia), con Rosa Rubino e Pasquale Ferro (quest'ultimo anche in veste di testimone), volontari e artefici del progetto «Al di là del muro» - frutto di un protocollo di intesa tra l'associazione e la Casa Circondariale (insieme al Centro di Ateneo Sinapsi dell'Università Federico II di Napoli e Fondazione Genere Identità e Cultura) e che a breve sarà esteso anche alla casa circondariale di Secondigliano - volto a creare un sostegno psicologico, legale, ma anche ludico-letterario, per detenuti omosessuali e transessuali nel carcere napoletano.
Finalmente uniti per legge. «Un momento significativo», sottolinea in una nota di Arcigay. «È stata un'esperienza particolare veder coronare il sogno di Giulio e Alberto, seppur in un contesto insolito come quello del carcere - afferma Rosa Rubino che, insieme a Pasquale e ai responsabili della struttura, ha contribuito all'organizzazione dell'evento - ma si è trattato anche di un momento importante e significativo nell'ambito del progetto che "Antinoo Arcigay" porta avanti già da alcuni anni all'interno della struttura».
La prima unione civile in Italia risale all'ottobre del 2017, a Rebibbia.
Il Mattino