Apple a Napoli, ecco il piano per il lavoro 2.0 Video

«Formare un programmatore in Apple è come addestrare un meccanico in Ferrari. Difficilmente resterà disoccupato». A Palazzo Chigi usano questa...

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«Formare un programmatore in Apple è come addestrare un meccanico in Ferrari. Difficilmente resterà disoccupato». A Palazzo Chigi usano questa similitudine per spiegare l'operazione Apple, quella che nei prossimi mesi porterà l'azienda di Cupertino ad aprire una scuola di alta formazione all'ombra del Vesuvio, una sorta di Università 2.0. Su questa scommessa si è scritto e detto di tutto. Ma come stanno effettivamente le cose?


Per scoprirlo bisogna entrare dentro il gruppo di lavoro, di cui fa parte anche il consigliere per l'Innovazione del premier Renzi Paolo Barberis, che sta dialogando da settimane con gli esperti dell'amministratore delegato di Apple Tim Cook. Si chiarisce, così, il primo equivoco su formazione o occupazione, che è diventato terreno dello scontro tra le forze politiche (per rispondere alle critiche lanciate dal Movimento 5 Stelle, Francesco Nicodemo, del team comunicativo di Palazzo Chigi, ha lanciato l'hashtag #grilloignorache). Non ci sarà - come già spiegato dal Mattino - l'assunzione diretta di sistemisti e programmatori ma una formazione annuale specializzata di 600 giovani italiani e stranieri (non solo laureati) che, al termine dei 12 mesi di tirocinio, diventeranno esperti di iOS, il sistema operativo Apple, e della galassia delle app, le applicazioni dei nostri smartphone che stanno rivoluzionando la vita quotidiana. Sarà una sorta di trampolino di lancio attraverso il quale gli studenti appena formati potranno lavorare con Apple e con altre aziende del settore, oppure dare inizio ad un percorso di autoimprenditorialità, talvolta anche più redditizio.

Sulla location il partner pubblico di Apple, l'Università Federico II, ha avanzato una proposta operativa: nella prima fase la scuola potrebbe essere ospitata dalla Federico II nell'ex area Cirio, a San Giovanni a Teduccio, dove ci sono locali e laboratori pronti per essere utilizzati dagli studenti di Ingegneria, mentre a regime verrebbe trasferita nell'ex area Nato, a Bagnoli, ugualmente attrezzata ma i cui edifici necessitano di interventi di adeguamento.


Veniamo ai tempi, da sempre l'incognita principale. Il governo punta ad avviare le attività subito dopo l'estate, a settembre, o al massimo entro l'anno anche se al momento è difficile stabilire con esattezza quando si partirà. A sentire chi con il digitale vive e lavora, sarà l'inizio di una possibile rivoluzione: «A Napoli nascerà il centro per imparare a realizzare i servizi del futuro - spiega Giorgio Ventre, direttore del dipartimento di Ingegneria Informatica della Federico II e componente del gruppo di lavoro di Palazzo Chigi - L'informatica che si fa oggi in Italia è quella dei software per aziende e per enti pubblici. Ciò che manca, salvo qualche eccezione, è la capacità di produrre software in grado di offrire servizi al cittadino o per il divertimento e il tempo libero, che sono poi quelli maggiormente redditizi. Basti pensare che solo nel periodo delle vacanze di Natale gli Apple store hanno incassato oltre un miliardo e 100 milioni di dollari». È la App Economy, bellezza, direbbe Humphrey Bogart. Più che economia una macchina da soldi che, nell'era post-fordista, è in grado di produrre numeri impressionanti: «Le app sono oggi il servizio più remunerativo per l'azienda fondata da Steve Jobs, che nel 2015 ha fatturato oltre 20 miliardi di dollari, quasi due terzi della legge di stabilità 2016» scrive Luca Alagna, docente alla Luiss Business School. Il circolo virtuoso si è allargato pure all'Italia: da quando l'iPhone è stato introdotto, nel 2007, sono nati 97mila posti di lavoro, concentrati a Milano e Roma; eppure nel nostro Paese la App Economy rappresenta solo lo 0,4 per cento della forza lavoro a fronte di una media europea dello 0,7 per cento. Davanti ci sono dunque ampie praterie, tutte da percorrere. Qualcuno questa strada l'ha già imboccata, con successo. È il caso di Spinvector, azienda made in Campania fondata da Giovanni Caturano, Carmine Della Sala e Lorenzo Canzanella, rispettivamente di Benevento, Avellino e Napoli, che si sono specializzati nella produzione di app dedicate a giochi per smartphone (come BANG! e From Cheese): «Il mercato dei videogiochi ha superato quelli del cinema e della musica, 3 download su 4 dall'Apple Store sono videogiochi e 9 su 10 sono a pagamento - racconta l'amministratore Caturano - Se nella vecchia industria un paio di scarpe aveva successo, per soddisfare la domanda bisognava produrre altre scarpe, distribuirle e venderle. Con una app, invece, è tutto più facile e immediato. È il bello di questa nuova economia, che non ha confini».© RIPRODUZIONE RISERVATA Leggi l'articolo completo su
Il Mattino