Si chiama Tiziana, questa donna con la tuta da astronauta, la mascherina sul volto per dodici ore, gli occhiali giganti. E i guanti doppi: «Ne indosso un paio sull'altro...
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Per fare tutto ciò, entra a contatto diretto con il virus?
«Devo stare attenta, attentissima, non devo contaminare gli oggetti che potrei portare a casa. Ma devo dare il massimo, oggi più che mai, per contribuire a salvare chi è in pericolo di vita»,
La paura di contagiarsi è condivisa con gli altri camici bianchi.
«Ho visto finire in quarantena e ammalarsi amici e colleghi valorosi: qualche giorno fa mi sono ritrovata tra le mani il codice con nome di un giovane infettivologo che ha fatto il possibile e anche l'impossibile per l'ospedale. Mi è crollato il mondo addosso. E, l'altro giorno, ho appreso che è morto Maurizio Galderisi, professore dell'università Federico II, dove ho studiato e svolto il dottorato di ricerca», racconta, aggiungendo che la preoccupazione nel suo caso è «al quadrato».
È amplificata cioè da un'altra ragione?
«Mio marito è ematologo al Cardarelli, anche lui è esposto, visto che si trova a contatto diretto con i talassemici: gli ho proposto di andare a vivere in due case separate, durante l'emergenza, in modo da evitare di contagiarsi a vicenda e dimezzare almeno le probabilità che nostro figlio resti senza nessuno dei due».
Perché lei è medico e moglie, ma è figlia e madre allo stesso tempo: teme e bada non solo a se stessa.
«I miei genitori sono anziani e vivono a Portici, non li vedo per precauzione e mi mancano: questa notte ho sognato di riabbracciarli e il risveglio è stato un tuffo nel buio».
Quanti anni ha il suo ragazzo?
«Sedici, resta solo a casa per l'intera giornata. È nervoso. Vuole giocare a calcio con gli amici, vuole rivedere i compagni di scuola». La voce di mamma s'incrina: «Ho un compito difficile, devo dargli forza di sopportare la sofferenza di questo momento», ripete come allo specchio. «Lavoro e penso a chi sta male e alla mia famiglia».
Fuori, il silenzio è inquietante. Dentro la sua abitazione, i rumori degli elettrodomestici si susseguono, dalla lavatrice al ferro da stiro al Bimbi per cucinare.
«Perché la casa è rifugio, ma anche campo di battaglia: come quasi tutti, oggi non posso più contare nemmeno sull'aiuto della colf. Ma io sono donna. E basta».
È il modo per dire che tocca a lei, anche quando lavora quanto un uomo, provvedere alle faccende domestiche. Alla fine, Tiziana ribadisce semplicemente ciò che nella società avviene e più pesa in situazioni estreme.
«Ma tutto passerà e anche i miei genitori e mio figlio avranno l'amore che spetta loro», conclude con il sorriso celato dalle circostanze. E dai tempi: prima la dottoressa passerà tutto il tempo in laboratorio perché altri figli e altri genitori non restino soli, per sempre. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino