Coronavirus a Napoli, la denuncia di una coppia di avvocati: «Siamo guariti ma sepolti vivi in casa, da 2 settimane niente tampone»

Coronavirus a Napoli, la denuncia di una coppia di avvocati: «Siamo guariti ma sepolti vivi in casa, da 2 settimane niente tampone»
Se a raccontarla fosse stato Kafka, non avrebbe potuto scriverla meglio. Invece a plasmare l’incredibile vicenda che vede protagonisti due avvocati napoletani che dopo aver...

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Se a raccontarla fosse stato Kafka, non avrebbe potuto scriverla meglio. Invece a plasmare l’incredibile vicenda che vede protagonisti due avvocati napoletani che dopo aver terminato il periodo di quarantena attendono ancora la verifica dei tamponi da ormai quasi due settimane è l’Asl Napoli 1, che sembra essersi dimenticata di loro.


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Simona e Cesare - chiameremo così, per rispetto della privacy, con nome di fantasia i due professionisti che risultarono positivi al Coronavirus frequentando lo studio del loro collega - il cosiddetto “paziente uno” nel Tribunale di Napoli - si sentono sepolti vivi in casa: «Chi doveva provvedere a certificare che siamo ormai fuori pericolo - raccontano al Mattino - sembra averci dimenticati. E così da 13 giorni non possiamo uscire, nemmeno per fare la spesa o per prelevare qualcosa al bancomat». 
 
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Manca dunque la prova del tampone finale, che dia un responso. Sabato scorso i due avvocati hanno deciso di inviare (via mail e con Pec) una diffida all’Azienda sanitaria locale Napoli 1: «Il 28 febbraio 2020 - si legge - dopo esserci sottoposti al Cotugno a tampone venivamo messi in quarantena vigilata presso il nostro domicilio fino all’11 marzo. Giunti a quella data abbiamo contattato gli ufficiali medici, nonché il nostro medico curante per essere sottoposti a nuovo tampone che attestasse l’avvenuta guarigione. Decorsi ormai altri 10 giorni, l’Asl non ha ancora provveduto a tale esigenza».

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I due legali, pur comprendendo le mille difficoltà sanitarie e amministrative in cui versa l’Asl napoletana, sono allo stremo. E si sentono abbandonati. «Siamo rinchiusi in casa dal 28 febbraio - spiegano - il supermercato sotto casa ha aumentato i tempi di consegna della spesa, abbiamo i nostri genitori anziani e bisognosi di sostegno; il nostro studio è chiuso da quando ci sottoponemmo a tampone, e ormai - non avendo la possibilità nemmeno di prelevare al bancomat - siamo a corto di contanti. Ma ci chiediamo anche: di fronte a ragioni di simile gravità, com’è possibile che nessuno ci contatti per verificare il nostro stato di salute?». Domande più che legittime. Simona e Cesare sono pronti a passare al contrattacco: «Se questa situazione dovesse continuare, anche dopo la diffida alla quale ancora non abbiamo avuto risposta, denunceremo l’Asl alla Procura». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino