La febbre saliva, il coronavirus iniziava inesorabilmente a divorargli i polmoni, ma le autorità sanitarie sconsigliarono il ricovero in ospedale. Respirava a fatica,...
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L'odissea di Salvatore Merola termina il 31 marzo, ben dodici giorni dopo la data in cui aveva manifestato i sintomi del coronavirus. I suoi occhi si chiudono per sempre alle sette del mattino. Ed ora la vicenda è oggetto di un'inchiesta della procura di Napoli, alla quale i familiari hanno presentato una denuncia per verificare se nella catena delle richieste di auto, del detto e non detto dal personale sanitario pubblico e privato, possano esserci responsabilità penali gravissime. Ricostruiamo dunque i fatti per come emergono dall'esposto presentato ai pm dall'avvocato Cesare Amodio, che rappresenta la famiglia Merola.
Prima che il povero paziente riesca a trovare posto in ospedale per essere assistito passeranno quattro giorni. Dopo aver contattato il medico di famiglia - e al netto delle rassicurazioni dei medici del 118 - i familiari si accorgono che il quadro clinico del loro congiunto degenera progressivamente e irrimediabilmente. Non basterà neanche un'analisi privata, che confermerà le gravissime condizioni del paziente. Viene richiamato il 118, che - stando a quanto riferito dai figli del povero Merola nella denuncia inviata in Procura - ancora rifiuta il ricovero in ospedale. Poi, una telefonata con il medico di base convince finalmente lo staff dell'ambulanza a condurre l'uomo al Cto. È il 23 marzo. Qui finalmente il tampone viene fatto e conferma la positività del 75enne al Covid 19. Le sue condizioni sono gravissime, e così si decide di intubarlo.
Salvatore peggiora, e si rende indispensabile il suo trasferimento nell'unità specializzata dell'ospedale Monaldi. Particolare che aggiunge inquietudine a questo quadro già fosco, per come i parenti almeno lo hanno ricostruito: nel trasferimento al secondo ospedale presso la Terapia intensiva il paziente viene trasportato a piedi, e senza alcuna precauzione.
Passa un'altra notte. E si intravede un filo di luce, perché all'alba del giorno successivo a Merola viene praticata una nuova emogasanalisi, che sembrerebbe evidenziare un miglioramento delle condizioni di salute.
Ma è un'illusione. Perché il 29 marzo - stando alle cartelle cliniche - subentrano problemi cardiovascolari. Salvatore è solo, in un letto d'ospedale, e sta morendo. «E così - riferisce il figlio Paolo - il 30 ci comunicano che la situazione è tornata critica, mentre solo il giorno sucecssivo sappiamo che papà è finito».
Fin qui la denuncia. Ora toccherà alla magistratura cercare di dare risposte agli interrogativi di una famiglia che non riesce a darsi pace. «Vogliamo sapere - conclude il figlio paolo - perché già dinanzi a un quadro clinico compromesso a nostro padre è stato negato il diritto al ricovero in ospedale. Il ritardo delle cure è stata causa, o concausa, della sua morte». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino