Coronavirus a Napoli, la quarantena del popolo dei bassi: «Noi, chiusi in casa: si soffoca ma resistiamo»

Coronavirus a Napoli, la quarantena del popolo dei bassi: «Noi, chiusi in casa: si soffoca ma resistiamo»
«No, guardate non voglio andare a finire sul giornale perché mi vergogno di far vedere dove viviamo», c'è una porzione del popolo dei bassi che non...

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«No, guardate non voglio andare a finire sul giornale perché mi vergogno di far vedere dove viviamo», c'è una porzione del popolo dei bassi che non vuol ritrovarsi dentro a un racconto dolente della città e chiede di restare nascosto. Niente fotografie né nomi, alla fine abbiamo trovato solo due persone disposte ad aprirci il cuore e le porte del loro basso per spiegarci cosa significa vivere in isolamento, chiusi in casa, quando la casa è composta da due sole stanze da condividere con cinque o sei persone.


Ad aprirci le porte dei loro terranei sono stati Salvatore che abita a via Purgatorio ad Arco e Flora che invece sta a via San Liborio. Di voci ne abbiamo raccolte anche tante altre, ce ne sono infinite in mezzo a quel popolo di circa 40mila persone che attualmente vivono nei terranei adibiti ad abitazione: «Io lo so che non si deve uscire da casa - la voce è di una donna anonima dei quartieri, chioma biondo platino e tuta di marca, troppo aderente su un fisico non smilzo - mo' voi mi avete trovato seduta qua fuori, ma questo non c'entra, non vale. Per noi il fuori della porta è come se fosse ancora casa nostra». Il concetto è difficile da spiegare, la signora sostiene che l'area abitativa di un basso si estende anche all'esterno, sulla strada che, per almeno un metro appartiene ancora al basso «è una questione di rispetto», dice alzando la voce.

Poi crolla e spiega che è vero, lo sa che non si deve uscire, ma lì dentro in quelle due stanze cucina compresa ci stanno lei, il marito disoccupato e tre bambini: «Io se non me ne esco qua fuori ogni tanto divento pazza. Ma come fanno certi turisti che si emozionano quando vengono a dormire nel basso qua appresso? Ma che ci trovano di bello?».
 
La trasformazione dei bassi in bed and breakfast si sta espandendo in ogni quartiere. L'esperienza della notte trascorsa in quei terranei incollati alla strada pare che sia richiestissima dai turisti, o almeno lo era fino all'esplosione del virus, soprattutto nel centro storico dove vive Salvatore. Sta affacciato alla finestrella stretta del suo basso, indossa la mascherina di protezione perché ha paura del contagio «Sto praticamente per strada, se passa qualcuno?», dice con fermezza. L'uomo indossa una tuta blu, è felice di poter incrociare qualcuno perché lui vive la questione da un altro punto di vista: non sente la pressione della convivenza perché sta da solo «e non è meglio, credetemi», inizia a raccontare.

La casa di Salvatore entra tutta in un solo sguardo e in un solo scatto fotografico: letto, tavolo, cucina e basta. Il resto è il mondo che sta fuori perché lì dentro non ci si muove neppure.



«Io da quando ho memoria non ho mai trascorso una intera giornata in casa. Mai. Nemmeno quando ho avuto la febbre, nemmeno quando mi sentivo malissimo: per me la vita è qui fuori, la casa è qui fuori». Fa montare un pericoloso senso di claustrofobia l'idea di restare chiusi per giorni e giorni in quella casa angusta con troppi mobili e poco spazio: «Invece dobbiamo riuscirci - Salvatore fa il forte - perché da questo dipende la possibilità di cancellare il pericolo del contagio».

Il senso di claustrofobia si manifesta anche nelle parole di Flora che sta affacciata su via San Liborio in attesa di vedere qualcuno. La gente ha iniziato a starsene rintanata in casa e anche vedere un passante è una rarità: «Ecco, almeno prima tenevamo questa distrazione: davanti alla nostra finestrella passavano centinaia di persone. Adesso da qualche giorno non passa più nessuno. Che malinconia».

Flora vive stretta in quella casetta di due stanze assieme a tre figli adolescenti ma con il marito lontano: «Ha commesso un sbaglio e adesso sta in carcere. Hanno pure bloccato le visite e non lo incontro da settimane anche se adesso sembra che ci venga data una possibilità di portargli il pacco, speriamo bene. La volete sapere una cosa? Io solo adesso, in questa situazione in cui devo per forza stare qua dentro, per la prima volta capisco cosa prova mio marito in carcere».
 
Alla finestra compare anche un figlio di Flora. È bello, ha la faccia da scugnizzo anche se è già grande: «Per loro è veramente difficile restare chiusi - indica il figlio -. Vorrebbero i loro spazi le loro libertà. Qua dentro invece di spazi non ce ne sono e la libertà ce la dobbiamo sognare almeno per qualche altra settimana». La donna sembra sul punto di sbottare, il ragazzo la guarda dolce: «Non lo dobbiamo fare per forza ma perché è giusto». Si conquista una carezza della mamma: «Loro sono più bravi, hanno capito che è importante, anche se soffrono a stare uno sopra all'altro dicono che va bene e che bisogna farlo. Meno male».

Anche in un altro basso, di quelli dove ci hanno chiesto l'anonimato, avevamo trovato una situazione simile. Una dodicenne, la maggiore di tre figlie femmine, ha redarguito la mamma la quale sosteneva che era un'assurdità quella di tenere le persone prigioniere in casa: «Qua dentro tutti e cinque ci possiamo stare solo per dormire, altrimenti non ci entriamo», urlava la donna e la piccolina s'è intromessa dicendo: «Allora preferisci che moriamo tutti?».


Chiosa finale lasciata a Salvatore, incastrato nel basso dove è difficile pure stare da solo perché lo spazio per muoversi praticamente non c'è: «Io mi prendo un libro. Mi metto al tavolo e mi alzo solo quando è ora di mangiare o di dormire. Così il tempo passa, io penso alla storia del libro e non mi ricordo che sto prigioniero nel mio basso».  Leggi l'articolo completo su
Il Mattino