Coronavirus, gli epidemiologi: «Per salvare il Natale potrebbe essere già tardi»

Coronavirus, gli epidemiologi: «Per salvare il Natale potrebbe essere già tardi»
Potrebbe essere tardi. Troppo tardi per «salvare» il Natale. Ma, a giudicare dai pareri qualificati sull’andamento dell’epidemia in Campania espressi da...

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Potrebbe essere tardi. Troppo tardi per «salvare» il Natale. Ma, a giudicare dai pareri qualificati sull’andamento dell’epidemia in Campania espressi da medici, chiudere tutto o comunque ridurre spostamenti e altre attività per limitare i contagi, è un’operazione necessaria.

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Ne è convinto Alessandro Perrella,  dirigente medico di malattie infettive al Cardarelli e componente dell’unità di crisi sul coronavirus: il professionista ha messo a punto il sistema informatico che da mesi consente di analizzare i dati e fare previsioni, modificando il piano regionale. Ed è per il lockdown in stile francese. «Avrebbe dovuto scattare già 10-15 giorni fa», sostiene, invocando un immediato intervento scaglionato, ma su scala nazionale. 

LE VALUTAZIONI
«Chiudere solo la Campania adesso non ha senso: non serve senza fare lo stesso nel resto l’Italia». Perché «lo scenario è nazionale non è di respiro regionale», ribadisce Perrella. Per rendersene conto, basta guardare «l’incremento esponenziale dei contagi in Lombardia Con la libera mobilità, la gente si sposta e porta il virus lì dove ci sono meno casi», aggiunge l’epidemiologo, spiegando che il picco non è ancora arrivato così come non è detto che si possa «salvare» il Natale, pur adottando le drastiche misure. «È una previsione che al momento non si può fare, bisognerebbe iniziare per vedere l’effetto». A distanza di 21 giorni, i primi dati. E si arriva a metà novembre. «Un po’ troppo avanti», ragiona, «non so quanto possa essere utile per riaprire durante le feste, ma ritengo sia importante vedere cosa sta accadendo in Europa piuttosto che manifestare. Credo che questo scenario sia sfuggito a molti». Rodolfo Cononna è direttore sanitario dell’azienda dei Colli, riferimento di eccellenza nella cura delle malattie infettive. Sostiene: «La speranza è che gli ultimi provvedimenti, che hanno imposto comunque forti restrizioni a scuola e movida, diano qualche risultato. Anche una razionalizzazione di questo tipo può incidere», e cita uno studio scientifico pubblicato su Lancet a proposito della circolazione del virus, che si riduce in percentuale, disponendo diverse forme di limitazioni, fino al blocco totale. «Se non bastano quelle attuali - dice Conenna -, è chiaro che diventa indispensabile uno sforzo ulteriore. Ciascuno deve fare la sua parte, senza trascurare che gli aiuti economici per le categorie più colpite sono importantissimi». La tecnica dello “stop & go”, come la definisce l’esperto, «consentirebbe di controllare la curva epidemiologica e una liberalizzazione periodica delle attività». Ma, anche lui avvisa, «al di là delle proiezioni, è difficile misurare l’impatto, perché lo stesso indicatore che fa riferimento ai nuovi casi positivi ha i suoi limiti. Di certo, fermarsi può consentire di riprendere fiato nelle strutture sanitarie ormai piene». Si tratta, tuttavia, di «decisioni politiche, che fino a un certo punto possono essere assistite dal sapere tecnico». 


Luigi Atripaldi, direttore del laboratorio di Microbiologie e virologia del Cotugno, esegue il numero più alto di  esami per individuare i nuovi casi Covid e certificare le avvenute guarigioni. Considerata la complessità del quadro clinico su più ampia scala, ritiene che la linea debba essere indicata per tutti dal comitato scientifico nazionale. Dal suo osservatorio, si capisce però «che il lockdown ha dato buoni risultati nella primavera 2020. Ma adesso si è aspettato molto per intervenire. Per questo, è molto complicato pensare di chiudere per riaprire a Natale». 


«Tempo dieci giorni e il lockdown ci sarà comunque, a meno che non avvenga un miracolo con le misure del dpcm», è il parere di Salvatore Panico, epidemiologo e professore associato di medicina interna della Federico II. Che fare, allora? «A questo punto sarebbe meglio chiudere tutto, da inizio novembre e per quattro settimane, in modo da poter sperare di poter avere una certa libertà di movimento, sempre controllata, durante le feste di Natale. Ma non sarà facile». Maria Triassi, direttore del dipartimento di Sanità pubblica nello stesso ateneo, è anche responsabile della task-force sul coronavirus istituita dal Rettore, e propende invece per il modello tedesco, «lasciando aperte le scuole e proseguendo le attività lavorative. Ma cercando di limitare la mobilità oltre l’orario di lavoro». È favorevole al coprifuoco, non a «chiusure brevi che non risolvono il problema, aumentano i suicidi come già sta accadendo. E il numero di malati in terapia intensiva in Campania al momento non è tale da giustificare il lockdown». La professoressa conclude: «La vera soluzione è una gestione dei casi positivi a domicilio, dando ai medici di famiglia tamponi rapidi e strumenti di intervento, riservando i letti in ospedale a quei pazienti che ne hanno davvero bisogno. Altrimenti, tra influenza e Covid, presto non basteranno un milione di posti».

 

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