Covid a Napoli, per malati e parenti un abbraccio con gli occhi

Covid a Napoli, per malati e parenti un abbraccio con gli occhi
Ospedale del mare, reparto Covid, ex day surgery: in uno dei corridoi di collegamento che separano i percorsi “sporco-pulito”, dietro le grandi vetrate delle...

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Ospedale del mare, reparto Covid, ex day surgery: in uno dei corridoi di collegamento che separano i percorsi “sporco-pulito”, dietro le grandi vetrate delle postazioni amministrative precedentemente in uso per il pagamento dei ticket e la prenotazione di visite ed esami, è sorto il primo progetto in Campania per gli incontri di pazienti, quasi tutti anziani affetti da Coronavirus, con i loro familiari. «In origine avevamo in mente di realizzare anche qui una stanza degli abbracci - avverte Giuseppe Noschese, responsabile dell’unità Covid - ma gli interventi per la messa in opera erano troppo complessi. Abbiamo dunque optato per questa opportunità che consente ai congiunti di guardarsi almeno negli occhi, di sostituire il contatto fisico con quello visivo, di scambiarsi emozioni con i gesti, di prendere conforto dagli sguardi di amore di figli e nipoti, indispensabili per chi vive isolato in queste corsie». Noschese è stato richiamato all’Ospedale del mare dal Cardarelli per avviare e allestire il trauma center ed è stato reclutato a dirigere il reparto Covid. Il progetto per rendere più umana, ed emotivamente sostenibile, la degenza in isolamento in un reparto Covid è stato portato avanti da Noschese insieme con Carolina Bologna, dirigente medico di Medicina generale, e gli infermieri Fabio Basco e Florinda Carcarino

«Ci siamo resi conto nel corso dei mesi - aggiunge Noschese - che i nostri utenti erano soprattutto anziani. Persone fragili, spesso in difficoltà con la tecnologia anche per sostenere una videochiamata, pazienti che allontanati dai loro affetti familiari, privati del contatti con nipoti, mariti, mogli, figli, davano segni di forte disorientamento nello spazio e nel tempo». Gli anziani vivono un precario equilibrio psicofisico che si radica nella loro abitazione, nella frequentazione fissa dei loro punti di riferimento affettivo, in abitudini di vita routinarie e ripetitive, ma rassicuranti e imprescindibili per dare un senso alla vita quando la prospettiva si accorcia. «In ospedale - continua Noschese - improvvisamente fuori dalla loro realtà, lontani da coloro con i quali hanno convissuto per una vita, vivono una disarmonia mentale. Sono persone che noi vediamo turbate, in depressione, sempre meno capaci di comunicare. Da qui l’esigenza impellente di fare qualcosa per rompere il muro dell’isolamento. Abbiamo cercato di creare un luogo d’incontro visivo riutilizzando uno spazio esistente». 

Disadorni locali di passaggio riadattati per uno scopo nobile e funzionale alle conseguenze della pandemia. La stanza degli sguardi è entrata in funzione dopo Natale e ha riscosso un grande successo da parte dei pazienti, ma anche delle loro famiglie. «Una valvola di sfogo - assicurano i medici - che ha anche ridotto la latente e fisiologica conflittualità che si crea proprio a causa dell’isolamento tra pazienti e famiglie contro la struttura sanitaria vista come estranea e nemica». Un reparto blindato, dunque, è diventato così luminoso e trasparente, ricco di sguardi che sostituiscono mille parole. «Sono una quarantina fino ad oggi gli incontri che sono stati programmati. Il calendario è giornaliero: - spiegano meglio - pochi ingressi alla volta per non creare assembramenti, si tratta di una possibilità offerta a un numero ristretto di familiari. Ci si prenota, dieci minuti per ogni gruppo. Ogni giorno, un’ora. Lacrime, baci e gesti d’intesa rinsaldano il filo perso delle relazioni». 

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Il Mattino