Covid, a Napoli mille sanitari in ospedale senza vaccino: «Rischio per i pazienti ricoverati»

Covid, a Napoli mille sanitari in ospedale senza vaccino: «Rischio per i pazienti ricoverati»
Obbligo vaccinale per il personale sanitario e per chi svolge funzioni di cura e di assistenza a contatto con i malati: a Napoli tra i vari presidi della Asl, i grandi ospedali...

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Obbligo vaccinale per il personale sanitario e per chi svolge funzioni di cura e di assistenza a contatto con i malati: a Napoli tra i vari presidi della Asl, i grandi ospedali autonomi (azienda dei Colli, Cardarelli, Pascale, e Santobono), le due Università e le Case di cura accreditate, si contano circa 1.500 camici bianchi che circolano tra ambulatori, corsie e sale operatorie senza la copertura dell’ombrello vaccinale antiCovid. Una quota di questi operatori, circa il 40 per cento (621), ha tuttavia contratto il Covid durante una delle tre ondate epidemiche e dunque è già immunizzata. In ragione di questa condizione clinica sono candidati a un richiamo immunitario e con una sola dose di vaccino ma solo quando i titoli di anticorpi, ai dosaggi sierologici, dovessero mostrare un calo significativo.

Gli altri, circa 900, tra medici, infermieri, operatori sociosanitari e in alcuni casi anche manutentori delle ditte esterne, hanno contatti continui con i pazienti ricoverati nelle varie unità operative specialistiche frapponendo tra essi e i malati la sola barriera dei dispositivi di protezione individuali (mascherine e visiere). Una percentuale bassa sul totale del personale sanitario ma che configura ugualmente un potenziale rischio, evitabile, per persone che non per propria scelta sono costrette a varcare la soglia di un luogo di cura e, in quanto malati, sono fragili per definizione. 

Fatta la legge, entrata in vigore il 1 aprile - che prevede la sospensione dall’esercizio dalla professione sanitaria fino all’assolvimento dell’obbligo o al completamento della campagna di vaccinazione di massa - le modalità applicative si sono subito rivelate lunghe e complesse, invischiate in procedure troppo farraginose e costrette e misurarsi con l’ingombrante e inatteso scoglio della privacy diventato il principale paravento dietro cui si nascondono quelli che potremmo quantomeno definire scettici del vaccino quando non proprio “no vax”. Schiere che diventano anche più ampie se ci si addentra nelle altre molteplici propaggini del Servizio sanitario nazionale (distretti, strutture centrali, uffici amministrativi, Ordini professionali dei Biologi, Psicologi, Chimici, Fisici Veterinari, Tecnici) e tra i fornitori di beni e sevizi di Asl e ospedali.

In questo ambito, va anche ricordato che esiste una quota che, pur aspirando a porgere la spalla per la puntura, in prima battuta non ha avuto accesso alla profilassi e attende il proprio turno nell’ambito delle classi di età diventato il criterio prioritario indicato nell’ultimo mese dalla struttura commissariale nazionale. E i privati? Chi informa il paziente che un fisioterapista, un igienista dentale, uno psicologo o un altro professionista che lavora in proprio, presso il proprio studio, non sia vaccinato? I veri «no vax», tuttavia, non sono tanti ma potrebbe essere difficile stanarli o quanto meno conoscere la loro posizione proprio per via delle diffide a non fornire i nominativi e i dati sensibili, arrivate sia agli Ordini, sia alle Aziende sanitarie che ai datori di lavoro e alla stessa Regione. 

Come garantire dunque, per questi camici bianchi non vaccinati, l’assolvimento dell’obbligo previsto dalla norma? Non è cosa facile: ogni azienda e Ordine professionale, per evitare di finire nella tagliola del Garante della Privacy, e delle relative multe fino a 50 mila euro già comminate in Abruzzo si è limitato a fornire, agli uffici della Regione Campania (peraltro destinataria anch’essa delle diffide dei più incalliti nel rifiuto), unicamente gli elenchi dei nominativi dei dipendenti (sia personale inquadrato che precari). Un «nascondino» senza senso visto che tutti gli elenchi, per un’altra legge, quella sulla trasparenza e la tutela del cittadino dall’abusivismo della professione, devono essere pubblici. Ora è in corso l’incrocio dei dati per individuare la lista finale dei non vaccinati che dovrà tornare ai rispettivi datori di lavoro e ai medici competenti a cui spetta poi verificare se alla base esistono condizioni di salute particolari incompatibili con la profilassi vaccinale o, in caso contrario, istruire il procedimento con cui destinare e una funzione e a un lavoro diversi, non a contatto con i malati, tale personale. Un’alternativa pressoché impossibile da percorrere visto che medici, infermieri e operatori sociosanitari sono per definizione deputati alla somministrazione di cure e farmaci in stretto e continuo contatto con i pazienti. Un dedalo da cui sarà difficile districarsi senza regole più snelle e una revisione anche di tutto l’impianto della privacy che però dipende dall’Ue. 

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Il Mattino