Non era presente in aula la scorsa settimana e non potrà esserci neppure venerdì prossimo, quando si chiude il processo d’appello sulla scomparsa del giovane...
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LA REQUISITORIA
Ed è nel corso dell’ultima udienza, che il sostituto procuratore generale Cilenti ha chiesto la condanna a 21 anni a carico dell’unico imputato Fabio Furlan, trentenne napoletano accusato di omicidio volontario e di occultamento di cadavere (ma quest’ultimo reato si è prescritto). Un mistero napoletano, che va avanti dal 17 novembre del 2009, il giorno della scomparsa di «Cristofer». Per l’accusa non ci sono dubbi: Fabio avrebbe attirato in trappola l’amico di sempre, lo avrebbe ucciso (non è chiaro se assieme ad altri complici) e avrebbe fatto sparire il cadavere. Tutto in mezzora, salvo poi recarsi in Spagna, salpando da Civitavecchia. Due i moventi indicati dalla Procura di Napoli e ribaditi in questi giorni dal pg: quello passionale, dal momento che Furlan aveva vissuto un flirt con la ex di Cristofer; e la gestione di una piantagione di canapa fatta in casa. Sesso e droga avrebbero minato un’amicizia, fino a spingere l’uno ad uccidere l’altro. Condannato all’ergastolo in primo grado, a trent’anni in appello, scagionato anni fa dalla Cassazione. Poi la richiesta del pg a 21 anni di cella. Ma in attesa che si risolva il giallo del fermo di Furlan, è stato ascoltato come testimone un altro ragazzo del gruppo dell’area collinare: parliamo di Agostino Di Lorenzo, da tempo residente a Londra, convocato in Assise appello anche sulla scorta di una lettera spedita anni fa a Fabio, nella quale si diceva pronto a scagionarlo in tutte le sedi. Ha risposto alle domande di pg e parte civile (i penalisti Valerio De Maio e Paolo Stravino), criticando il modo in cui venne interrogato dalle forze dell’ordine, nella fase preliminare delle indagini, trincerandosi dietro decine di «non ricordo». E sono stati ancora pg e parti civile a fare leva sui punti chiave dell’inchiesta: la telefonata fatta da Fabio da un telefono privato, (quel «non sarò mai più puntuale come oggi» sibilato in un telefono di un bar), la decisione di Cristofer di uscire di casa con 2mila euro e senza cellulare («per evitare tarantelle»), ma anche il presunto alibi dopo la scomparsa di Cristofer, che si presentò in un bar del Vomero assieme alla fidanzata contesa e al gruppo di amici. Venerdì la sentenza, per un delitto senza cadavere, senza arma e - almeno per il momento - senza imputato. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino