Raffaele Imperiale, il boss dei Van Gogh ricercato numero uno di Napoli: «Amo l'arte, così ho comprato quei quadri rubati al museo»

Raffaele Imperiale, il boss dei Van Gogh ricercato numero uno di Napoli: «Amo l'arte, così ho comprato quei quadri rubati al museo»
Vive al sole di Dubai, da imprenditore e capo famiglia. Legge i giornali italiani, tanto da «sorridere» di fronte alle recenti cronache che lo indicano come il...

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Vive al sole di Dubai, da imprenditore e capo famiglia. Legge i giornali italiani, tanto da «sorridere» di fronte alle recenti cronache che lo indicano come il ricercato numero uno nel particolare elenco della Dda di Napoli. Sa di essere braccato dalle polizie di mezzo mondo, target di rilievo dell'Interpol, alla luce di una condanna a otto anni di reclusione per fatti di droga. Eccolo Raffaele Imperiale, il broker dei narcos, meglio noto come il boss dei Van Gogh, per aver acquistato due capolavori del maestro olandese (rubati dal museo di Amsterdam), per anni conservati in un casolare stabiese, prima di averli restituiti alla Dda di Napoli (pm Maurizio De Marco e Vincenza Marra), in un processo che gli è costato una condanna a otto anni. Raggiunto da Il Mattino, tramite il suo avvocato ligure, accetta di rispondere alle domande sulla sua condizione di latitante e presunto broker sulle rotte del narcotraffico, partendo da un dato: «Ho amato quei due Van Gogh, li ho comprati dal ladro non solo perché erano convenienti, ma perché li amavo. Certo, ero a conoscenza del loro valore artistico, devo la mia sensibilità a mio padre, persona per bene, che mi portava in giro per musei».

Imperiale, lei viene indicato come uno dei principali «wanted» in Italia, cosa replica?
«Ho una condanna non definitiva a otto anni di reclusione. Non credo che questo sia coerente con l'etichetta di wanted più ricercato della Campania. La realtà è che la storia dei quadri di Van Gogh mi ha giovato processualmente ma nuociuto mediaticamente. Se a questo aggiunge che vivo a Dubai e il resto, mi riferisco ai titoloni sulla latitanza dorata, è solo una conseguenza automatica. Tutto ciò stimola facili accuse sul mio conto da parte di chi aspiri ad avere ruoli di collaborazione con la giustizia, ma mette anche e ingiustamente il mio nome al centro di tutte le attività illecite legate al narcotraffico».

Se è tutto così chiaro, perché non torna in Italia a costituirsi?
«Lei mi attribuisce un comportamento che non ho mai tenuto, ossia quello di chi non vuole affrontare la giustizia italiana. È vero il contrario. Io quando sono venuto a conoscenza del procedimento che mi riguardava mi sono reso processabile, nominando i miei avvocati difensori, e facendo pervenire all'autorità giudiziaria la versione dei fatti recepita nelle due sentenze pronunciate a mio carico. Se non lo avessi fatto non sarei stato processato. Se non mi sono costituito, le rispondo che, probabilmente ho sbagliato e tuttora sbaglio a non farlo, ma ciò non toglie che io non sono mai fuggito dall'Italia. Io vivo all'estero da oramai oltre venti anni. Quando è stata emessa l'ordine di arresto in relazione al procedimento che mi riguarda, io vivevo a Dubai. E lì continuo a vivere».

Che vita conduce a Dubai?
«Non una vita sfarzosa. A Dubai vivo come vivevo negli altri Paesi e la qualità della vita, qui come altrove, non dipende soltanto dalle disponibilità economiche. Ho quasi cinquant'anni, quattro figli, ho superato una grave malattia e sto affrontando un lungo e complicato processo le pare che si possa vivere come se tutto questo non ci fosse?».

Come nasce il suo ruolo di broker del narcotraffico? E che ruolo ha avuto durante gli anni delle faide?
«Io ho riconosciuto l'unico addebito che mi è stato mosso e cioè quello di aver avuto - dalla fine degli anni 90 fino al 2016 - un ruolo apicale in una associazione finalizzata al narcotraffico e ciò sebbene quell'attività, per quanto mi riguarda, fosse cessata anni prima. Il mio ruolo deriva dalle mie frequentazioni olandesi. Ad Amsterdam avevo un coffè shop frequentato anche da grossi narcotrafficanti. Questi contatti hanno reso possibile un rapporto fra tali trafficanti ed alcune delle più note famiglie camorristiche napoletane. Sono estraneo alle faide, come accertato dai processi».

Come è venuto in possesso dei quadri di Van Gogh?
«Li ho comprati direttamente dal ladro pochi giorni dopo il furto. E proprio per questo motivo non ho mai nutrito dubbi sulla loro autenticità».

Era consapevole dell'importanza di quei due dipinti?
«Guardi, vengo da una famiglia di persone per bene, oneste e agiate. Questo ha indirizzato la mia formazione educativa e culturale e mi ha permesso di apprezzare il valore estetico delle cose. Mio padre, quando ero bambino, non di rado mi portava a visitare città storiche e musei. Tutto ciò mi ha reso non insensibile all'arte ed alla pittura in particolare. Per questo i due Van Gogh hanno rappresentato un'opportunità che ho colto senza esitazioni. Il fatto di possederli, tuttavia, superata l'iniziale emozione, ha finito per essere un peso, per questo l'aver contribuito a far sì che il Museo di Amsterdam rientrasse in possesso di tali capolavori, pensi quello che vuole, mi rende orgoglioso».

Perché un narcotrafficante acquista i quadri di Van Gogh?
«Ho già detto le ragioni per le quali non sono insensibile all'arte, ma anche ove così non fosse, mi creda che un Van Gogh lo avrei riconosciuto comunque».

Perché li teneva custoditi in un casolare?
«Si fidi, erano custoditi al meglio».

Cosa l'ha spinta ad acquistarli?
«Il prezzo».

Esiste un commercio di opere d'arte?
«Il commercio delle opere inestimabili esisterà certamente. L'interesse dei narcotrafficanti per il commercio di opere d'arte trafugate, al contrario, è una convinzione che può avere soltanto uno sprovveduto».

A chi erano diretti?
«Come ho detto li ho acquistati per me, insomma per averli. Chi dice che lo abbia fatto per investire i miei illeciti proventi non sa cli cosa parla».

Come si diventa Raffaele Imperiale?


«Mi è bastato deragliare dagli insegnamenti della mia famiglia e credere in quei modelli che il territorio dove vivevo mi faceva apparire vincenti. Poi arrivò il narcotraffico ad Amsterdam. Oggi temo di essere diventato un modello, ma non il modello che vorrei essere, soprattutto per i miei figli».  Leggi l'articolo completo su
Il Mattino