Un romanzo-verità. Che racconta l’omicidio di don Pino Puglisi a Palermo con gli occhi di un suo studente, sullo sfondo di una città di luce e di lutto: emblema di tutte le...
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Sarà un’occasione significativa per confrontarsi con chi ha vissuto sulla propria pelle la dolorosa esperienza di perdere un punto di riferimento della propria vita, vittima innocente trasformata in martire per mano della criminalità organizzata, che più di ogni cosa teme la cultura, e i buoni maestri.
D’Avenia infatti era studente proprio nel liceo dove Padre Puglisi insegnava, e ha voluto raccogliere la sfida di testimonianza a futura memoria che la vita gli aveva lanciato: raccontare quegli anni terribili con gli occhi ancora sgombri da pregiudizi di un giovane ragazzo, sottraendo così quella stagione all’oblìo o, peggio, alle strumentalizzazioni posteriori: come è accaduto, per fare un solo esempio, a Don Peppe Diana.
Nel libro, si legge che Don Pino rivisitava una convinzione di Italo Calvino nelle Città invisibili “evangelizzandola”: «Togli l’amore e avrai l’inferno. Metti l’amore e avrai ciò che inferno non è», diceva ai suoi ragazzi. Parole scolpite come lapidi nella mente, nel cuore e nell’anima del protagonista del romanzo, Federico, che adombra l’autore stesso: «Don Pino sorride. Un sorriso strano, lanciato da lontano, come dal profondo del mare quando la superficie è in tempesta. Mi ricordo ancora la prima ora con don Pino. Si era presentato con una scatola di cartone. L’aveva messa al centro dell’aula e aveva chiesto che cosa ci fosse dentro. Nessuno aveva azzeccato la risposta. Poi lui stesso era saltato sulla scatola e l’aveva sfondata. "Non c’è niente. Ci sono io. Che sono un rompiscatole". Ed era vero. Uno che rompe le scatole in cui ti ingabbiano, le scatole dei luoghi comuni, le scatole delle parole vuote, le scatole che separano un uomo da un altro uomo simulando muri spessi come quelli di una canzone dei Pink Floyd».
Di questo narra il romanzo. A partire dal 23 maggio 1992, quando la scuola sta per finire: un gruppo di liceali palermitani sta festeggiando in piscina, quando dalla tv giungono le immagini della strage di Capaci. Federico è uno di quei ragazzi. Porta il nome di un sovrano antico, e come lui ama la letteratura e la sua terra. Mesi dopo, alla fine di un nuovo anno scolastico, proprio mentre si prepara ad andare a Oxford per un mese di studio, Federico incontra “3P”, il prof di religione: lo chiamano così perché il suo nome intero è Padre Pino Puglisi, e lui non se la prende, sorride. 3P lancia al ragazzo l’invito ad andare a Brancaccio a dargli una mano con i bambini del centro Padre Nostro, che don Pino ha inaugurato per strapparli ai “padrini” del quartiere, parodia violenta della paternità.
E quando Federico attraversa il passaggio a livello che porta a Brancaccio, ancora non sa che in quel preciso istante comincia la sua nuova vita, quella vera. Quella sera tornerà a casa senza bici – gliela rubano –, con il labbro spaccato da un pugno e con la sensazione di dover ricominciare da capo: dal buio dei vicoli controllati da uomini senza scrupoli come il Cacciatore, 'U turco, Nuccio; dalle vite spesso disperate, sempre durissime, ma talora felici di Francesco, Maria, Dario, Serena e tanti altri; ma anche da Lucia, ragazza dagli occhi pieni di coraggio e limpidezza... Fino al 15 settembre 1993: il giorno del cinquantaseiesimo compleanno di padre Pino, lo stesso in cui viene ucciso. Il giorno in cui la bellezza e la speranza per Palermo restano affidate alle sue mani di ragazzo, chiamato a cercare e difendere ciò che, in mezzo all'inferno, inferno non è. E dargli spazio, memoria. Racconto.
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Il Mattino