Detenuti sul Lungomare di Napoli, uomini liberi per un giorno

Detenuti sul Lungomare di Napoli, uomini liberi per un giorno
Pasquale e Gennaro, reclusi nella sezione psichiatrica di Secondigliano, invocano un'opportunità di riscatto: l'esperto informatico ha scritto al presidente della...

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Pasquale e Gennaro, reclusi nella sezione psichiatrica di Secondigliano, invocano un'opportunità di riscatto: l'esperto informatico ha scritto al presidente della Repubblica perché gli conceda la grazia; con una lettera, l'ex vigilante ha chiesto invece di incontrare la figlia che non vede da dodici anni. Samuele Ciambriello, il garante dei detenuti, li ha portati sul lungomare, a mangiare una pizza, al bosco di Capodimonte e poi al teatro Totò.

 
Uomini liberi per un giorno, lo sguardo puntato verso l'orizzonte. «Cadendo, nonostante tutto, si raccoglie qualcosa: l'importante è rialzarsi e ricominciare», dice il garante, e a pranzo brinda con un bicchiere pieno d'acqua. Pasquale, 44enne originario di Catanzaro, racconta con un pizzico di orgoglio: «Sono l'unico ad avere il pc in carcere, che mi è stato consegnato tre anni dopo l'autorizzazione». In cella dal 2005 («Sempre con buona condotta»), da sei anni si esercita con la speranza di trovare un lavoro, in futuro,. E, per la prima volta da quando è dentro, ieri a mezzogiorno parla al telefono con il fratello. Sorride: «È un momento speciale». Annuisce Gennaro, 41 anni, ricordando il motivo che lo ha costretto a vivere, fino alla chiusura, anche nell'ospedale psichiatrico giudiziario di Aversa: «Con un proiettile ho colpito e ucciso, per sbaglio, una mia bambina. Poi, più volte, ho tentato il suicidio: sono pentito e desidero riabbracciare l'altra figlia che ora è maggiorenne». Con il maschietto avuto da un'altra relazione, si sente invece regolarmente e ogni volta è una gioia.


A tavola, da Fiore Bianco di Dario e Diego Viscardi e Roberto Fabiano, Pasquale e Gennaro siedono accanto ad altri tre compagni di viaggio. Tra questi, c'è Sami, 26enne tunisino, un esordiente nelle attività promosse dall'associazione La mansarda. Perché sono i volontari come Maria Merola e Irene Iervolino a dare voce alla speranza, non le istituzioni che dovrebbero provvedere a recupero e reintegrazione anche all'esterno degli istituti penitenziari. «Ma, chi semina amore, raccoglie felicità», conclude Ciambriello, e scatta l'applauso. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino