Una carriera lunga 24 anni e che ancora continua. Quasi un quarto di secolo speso a far ballare le persone, alimentando una passione viscerale per la musica, quella che una volta...
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Marco era ancora un ragazzino e pensava che la sua vita sarebbe andata avanti senza grosse difficoltà, anche se ora era consapevole di avere un handicap. Ma qualche anno dopo con quel suo deficit si sarebbe ritrovato a farci i conti: «Avevo 16-17 anni quando scoprii la mia passione per i piatti, i dischi, le cuffie e tutto ciò che girava intorno al mondo dei dj – ricorda –. Comprai la mia prima consolle e compresi subito che fare il disk jockey con un solo orecchio era abbastanza complicato. La difficoltà maggiore era far entrare la traccia successiva in sincronia con quella precedente, ascoltando le battute. Gli altri, ovviamente, potevano usare un orecchio per sentire in cuffia la traccia che stava per arrivare, mentre con l’altro sentivano ciò che il pubblico stava ballando. Io, invece, dovevo fare tutto con solo orecchio e non era facile».
Marco inizia ad allenarsi fino a riuscire nell’impresa di superare il suo limite. Sente che quella è la sua strada e il feeling che ha con la consolle è troppo grande per farlo desistere. Così nel 1993 arriva anche il suo debutto da professionista e un anno dopo il suo primo evento importante: «Aprile 1994: ho suonato con Derrik May, un grandissimo artista americano, in uno dei locali storici dell’epoca qui a Napoli, il Cube. Una serata memorabile».
Comincia così la carriera di Marco Piedimonte, che nel 2000 decide anche di darsi un nome d’arte, diventando Dj Deaf, ovvero “disk jockey sordo”. «Cercavo un nome che mi rappresentasse, ma che fosse anche un po’ ironico. Così ho scelto questo, perché la mia defezione mi caratterizza e nell’ambiente molti sono incuriositi dalla mia abilità di lavorare con un solo orecchio. E oggi Dj Deaf è un punto di riferimento anche per tanti giovani che si avvicinano alla professione. Una cosa di cui vado molto fiero».
Nella vita artistica del dj napoletano anche alcuni dischi e diverse serate nelle più grandi città europee. Ma l’esperienza a cui è più legato è quella che lo vide protagonista di una serata danzante per sordi a Mijas in Spagna: «È incredibile vedere come persone con una sordità completa riescano a percepire la musica attraverso le tecniche più impensabili: sentire la cassa attraverso le vibrazioni del pavimento o le altissime frequenze di un synth, attraverso certe sensazioni provocate nei loro corpi. Ho conosciuto persone che nonostante la loro sordità sono molto più ricche di emotività e passione di tanti altri individui che non sanno neppure lontanamente che significa portare un handicap. Quell'esperienza mi ha arricchito tantissimo». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino