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Il rischio del tutti contro tutti è concreto perché il bluff «dell'accordo raggiunto per l'alleanza e il nome unitario», senza che il nome esca mai - anzi ne escono due, quello dell'ex ministro Gaetano Manfredi e del presidente della Camera Roberto Fico - non può reggere ancora a lungo. Le cose stanno così: Manfredi attende che lo chiami Letta, il segretario del Pd che lo chiami Giuseppe Conte, il capo del M5S che lo chiami Fico. Un gioco dell'oca rischioso. Oggi però se ne potrebbe sapere di più: Letta ha convocato la direzione del partito per fare il punto sulle amministrative e sull'alleanza con il M5S che non gode di buona salute, a oggi per le comunali di ottobre nelle grandi città è saltata ovunque tranne, per ora, che a Napoli. La situazione è paradossale, a sentire i dem sarà Manfredi il candidato, ma appena si chiede la stessa cosa ai grillini ci sono pochi dubbi: è Fico che correrà per il Comune la risposta standard. La sostanza è che non c'è accordo e il patto su Napoli per dare un senso a un'alleanza che per ora esiste solo in Parlamento è a rischio. Gli umori in questa vicenda contano parecchio. E allora quello di Manfredi è vestito di scetticismo, delusione e altri sentimenti simili, una botta di entusiasmo potrebbe arrivare solo da una decisa presa di posizione del Pd. La terza carica dello Stato, invece, potesse decidere da solo già starebbe in campagna elettorale e sprizza entusiasmo. Ma ha dei doveri istituzionali che non deve mai perdere di vista. Solo questo frena Fico per ora. Procediamo con ordine.
Al di là del patto con il M5S il Pd ha un problema urgente da risolvere: deve convincere Manfredi, sempre più attratto dalla possibilità di sfilarsi, atteso che non ha mai dato la disponibilità formale ad accettare la candidatura. In questo senso il pressing su di lui dalla gran parte del partito è costante. Lo stanno lavorando ai fianchi il segretario metropolitano Marco Sarracino, il vice di Letta ed ex ministro Peppe Provenzano e il titolare della delega agli enti locali nel partito Francesco Boccia.
Da un pressing a un altro pressing, quello in casa grillina, anche se Fico non ha bisogno di incentivi per scendere in campo però gli fa piacere il sostegno della sua parte politica. «Quella di Roberto - racconta un parlamentare grillino - non è una candidatura farlocca, è concreta e vera e mai è stata tolta dal tavolo del centrosinistra». A frenare Fico solo la questione legata alla sua carica. Lasciare quella poltrona in piena pandemia non è facile e non lo sarebbe per nessuno. Non bastasse l'epidemia c'è anche il semestre bianco vale a dire che il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella è in scadenza, il suo settennato sta per finire e Fico dovrebbe lasciare l'incarico prima che inizia cioè a luglio.
Fico oltre che all'elezione del nuovo Capo dello Stato. Fico ci sta comunque pensando e se esiste una strada per evitare un terremoto politico e potersi dedicare alla sua città lui la troverà. Del resto alle prossime elezioni politiche Fico - ammesso che si candidi - non è che avrebbe grosse prospettive dopo avere avuto l'onore e onere di essere la terza carica dello Stato. Essendo ancora giovane la chance di candidarsi a sindaco di Napoli - in caso di vittoria - gli aprirebbe scenari e traguardi personali con un orizzonte decennale.
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