I nomi sono più che eloquenti: “Nato criminale“, “O’ sistema”, “Noi carcerati”. Ma la lista potrebbe essere ben più...
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E ancora fotografie di uomini e donne armati, video dell’Isis o della Polizia di Stato, che documentano rapine e aggressioni, post di sostegno ai carcerati. Ognuna di queste pagine può arrivare a essere seguita da centinaia di migliaia di utenti, che commentano e approvano il contenuto dei post pubblicati, e spesso è gestita da persone napoletane o, comunque, molti degli elementi postati fanno riferimento alla città partenopea.
Ovviamente, non mancano i videoclip dei neomelodici, le citazioni cinematografiche e quelle riprese dalle serie televisive: da Scarface a Romanzo criminale, passando per Gomorra (l’attesa per l’inizio della terza stagione della serie sembra spasmodica). Ma sono presenti anche video amatoriali. In particolare, negli ultimi giorni su alcune di queste pagine è stata pubblicata una clip in cui si vede un bambino di sei anni alla guida di un motorino, senza casco, con un adulto seduto alle sue spalle.
Il filmato, che pare sia stato girato nelle strade di Napoli o della sua provincia, è già stato visualizzato 600mila volte, ricevendo migliaia di reazioni e centinaia di commenti, mentre sono più di 5mila e 400 le persone che l’hanno condiviso. Un video che il social network dovrebbe censurare all’istante, non fosse altro per proteggere il minore riconoscibile protagonista di un’azione illegale.
E invece quelle immagini stanno spopolando su bacheche pubbliche e profili privati. Ma di clip del genere, con protagonisti ragazzi più o meno maggiorenni intenti a compiere spericolate peripezie in sella a un ciclomotore, ce ne sono altre, tutte pubblicate senza censurare i volti dei minori.
Diverse, poi, sono le pagine dedicate ai detenuti. Spazi virtuali creati per dare sostegno a chi è finito dentro e ai suoi familiari, ma che cercano anche di fare un po’ da cassa di risonanza a certe richieste avanzate dai carcerati italiani come l’amnistia e la cancellazione del 41 bis, l’articolo che sancisce il carcere duro per i mafiosi. Fin qui tutto lecito, finché non s’incontrano post in cui si esalta il valore del silenzio dietro le sbarre, quindi il comportamento omertoso, mentre quelli che parlano e collaborano con la giustizia sono definiti traditori e infami che vanno emarginati.
Dunque, c’è un intero universo, quello della malavita che comunica sui social network, soprattutto quella napoletana, i cui messaggi possono raggiungere chiunque, anche casualmente, senza bisogno di andarseli a cercare, e che costituiscono elementi fortemente diseducativi per i ragazzi che ci si possono imbattere.
Su questo universo i giganti del web dovrebbero sorvegliare e censurare ogni volta che se ne presenti la possibilità, ma per ora il fenomeno sembra essere molto sottovalutato. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino