L'indulto, la scarcerazione nel marzo del 2018 e la mobilitazione di un pool di avvocati non hanno potuto scongiurare la richiesta di giustizia chiesta a gran voce dal popolo...
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Il ritorno in galera è stato deciso l'altro ieri dalla prima sezione del tribunale di Sorveglianza di Napoli, che doveva valutare la richiesta di una pena alternativa al carcere presentata dai legali dei tre imprenditori acerrani, Cuono, Giovanni e Salvatore Pellini, quest'ultimo ex sottufficiale del nucleo informativo dei carabinieri del capoluogo partenopeo.
La scarcerazione dei tre condannati per disastro ambientale aggravato nei territori di Acerra, Qualiano e Bacoli era stata disposta dalla Procura Generale presso la Corte di Appello nel marzo del 2018, appena dieci mesi dopo l'ingresso in prigione dei tre fratelli. Grazie a questo provvedimento, scattato in via automatica per effetto della riduzione della pena sotto i quattro anni di reclusione a causa dell'indulto, i Pellini poterono tornare a casa durante la Pasqua di un anno e mezzo fa. Ma la ritrovata libertà provocò l'indignazione generale. Il vescovo di Acerra, Antonio Di Donna, si spinse ad affermare che «la liberazione dei Pellini è un'umiliazione che favorisce certi comportamenti». Nel frattempo gli ambientalisti del territorio hanno ingaggiato un pressing testardo. Gli ecologisti Alessandro Cannavacciuolo, Valerio Montesarchio e Vincenzo Petrella hanno più volte manifestato davanti al tribunale. «Durante il procedimento raccontano abbiamo trasmesso al tribunale una documentazione che prova che i Pellini sono ancora coinvolti nel business dei rifiuti e che non hanno provveduto a riparare i danni commessi».
E la decisione del tribunale di Sorveglianza sembra confermarlo. I giudici hanno affermato che i fratelli Pellini non hanno provveduto a bonificare tutti i siti che hanno inquinato, che non hanno risarcito il danno e che non hanno manifestato segni di pentimento per la loro condotta criminale.
A tal proposito c'è da registrare un nuovo risvolto giudiziario. Appena ieri Cuono Pellini è stato condannato in primo grado a un anno e due mesi di reclusione. Secondo il tribunale di Nola, Pellini non ha bonificato un terreno di sua proprietà coltivato a ortaggi, sequestrato nel 2015 dalla polizia municipale di Acerra e risultato contaminato. I giudici lo hanno condannato anche per aver violato i sigilli apposti attorno all'appezzamento. Si attende intanto la decisione definitiva della magistratura su una questione cruciale: la confisca dei beni dei Pellini. Un tesoro gigantesco: 222 milioni in appartamenti, ville, conti correnti, auto ed elicotteri. I giudici di primo grado hanno deciso per la confisca. Ma i tre fratelli hanno ingaggiato una battaglia giudiziaria destinata a terminare in Cassazione. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino