Estorsioni e droga: la Procura chiede 150 anni di carcere per il clan Cesarano

Estorsioni e droga: la Procura chiede 150 anni di carcere per il clan Cesarano
«Chi comanda è Ponte Persica». Bastava questa frase per imporre il pizzo a imprenditori e commercianti da Castellammare a Scafati, passando per Santa Maria la...

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«Chi comanda è Ponte Persica». Bastava questa frase per imporre il pizzo a imprenditori e commercianti da Castellammare a Scafati, passando per Santa Maria la Carità, con il Mercato dei Fiori di Pompei che ormai era quasi del tutto gestito dal clan Cesarano attraverso la Engy Service, la ditta creata dal boss «profeta» Luigi Di Martino. E le forniture di cocaina per le piazze di spaccio della zona partivano dai broker del clan Contini e finivano anche ai pusher del Salernitano.

 

Una serie di accuse pesantissime contro undici presunti capi e affiliati del clan Cesarano, per i quali ieri il pm Giuseppe Cimmarotta ha chiesto 150 anni di carcere per conto della Direzione distrettuale Antimafia di Napoli. Hanno scelto il rito abbreviato, ma per il processo «Isaia» nome in codice scelto dalla guardia di finanza per indicare il «profeta» sono arrivate richieste di condanna pesantissime. Innanzitutto i 30 anni di reclusione proprio per il 59enne Luigi Di Martino «o profeta», dal 2014 boss indiscusso del clan Cesarano anche per volere del capoclan ergastolano Ferdinando «'e Ponte Persica», il quartiere al confine tra Pompei e Castellammare, roccaforte della cosca. Oggi è al 41-bis. Estorsione e traffico di droga, ma anche associazione di tipo mafioso, sono i reati contestati a chi «non appare in alcun modo meritevole delle attenuanti generiche» secondo l'accusa.

 

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Appena due anni in meno 28 totali di reclusione sono stati chiesti per Giovanni Cesarano, alias «Nicolino», braccio destro di Di Martino, ritenuto un dirigente del clan fondato dal cugino boss e capace di dare ordini ai vari affiliati nonostante fosse sottoposto a libertà vigilata e avesse permessi brevissimi per spostarsi. In un pizzino con parole in codice legno, vetro, spazzatura, latte erano scritti i nomi delle vittime da taglieggiare con il racket, che Aniello Falanga doveva poi gestire con richieste specifiche. Per quest'ultimo, la richiesta è di 25 anni di carcere. Secondo l'accusa, Di Martino era riuscito a creare un vero e proprio cartello con vari clan, a partire dall'Alleanza di Secondigliano con il referente dei Contini che riforniva di cocaina il clan Cesarano. Per Felice Barra la richiesta è di 12 anni di reclusione, 10 per Francesco Mogavero, a sua volta gancio con il clan Pecoraro-Renna di Battipaglia. Tra i vari affiliati, per l'Antimafia c'erano l'autista Antonio Iezza e il corriere Vincenzo Amita (9 anni ciascuno la richiesta), e ancora gli esattori Carmine Varriale e Claudio Pecoraro (8 anni e mezzo ciascuno), il cugino omonimo del boss Luigi Di Martino o cifrone (8 anni) e Adelchi Quaranta (6 anni).

 

Alla prossima udienza, la parola passa al collegio difensivo formato tra gli altri dagli avvocati Francesco Schettino, Francesco Romano e Antonio Marinaro. A novembre dello scorso anno finirono in manette venti persone, tra cui i cognati incensurati di Di Martino, accusati di aver creato e gestito «l'azienda di camorra» Engy Service per imporre il pizzo alle altre ditte del comparto florovivaistico attraverso servizi di intermediazione, trasporto e carico-scarico merci. Sotto scacco del racket erano finite almeno 15 vittime e nel corso di due anni di indagini, il boss «profeta» aveva cambiato 5 automobili e 17 numeri di telefono.

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Il Mattino