Frodi, soffiate e tangenti; preso a Napoli il “re” del by night: «Patto per evitare multe»

Colpito lo studio dei fratelli Pizzicato: «Sistema per fabbricare fatture false»

Le indagini della Finanza
Un sistema finalizzato a organizzare una frode milionaria dell’Iva, dietro il presunto paravento della commercializzazione di prodotti elettronici e informatici (in...

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Un sistema finalizzato a organizzare una frode milionaria dell’Iva, dietro il presunto paravento della commercializzazione di prodotti elettronici e informatici (in particolare airpods). Un sistema che, almeno per quanto riguarda i ruoli di vertice, aveva anche un secondo obiettivo: quello di recuperare informazioni riservate da fascicoli giudiziari in corso da procedimenti fiscali.

Detto in modo più esplicito, venivano pagate mazzette in cambio di soffiate da parte di militari e di funzionari dell’agenzia delle entrate, in modo da assicurarsi informazioni decisive ad evitare inchieste, accertamenti e sequestri. È questo lo scenario che emerge dall’inchiesta culminata ieri mattina nella emissione di dodici misure cautelari in carcere a carico di imprenditori, manager, ma anche di tre militari della guardia di finanza e un dirigente dell’agenzia delle entrate, secondo quanto emerge dall’ordinanza firmata dal gip Antonio Baldassarre. Inchiesta condotta dalla procura europea (al lavoro i pm Sico e Orlando), decisivo il lavoro della Guardia di Finanza del nucleo di polizia economica e finanziaria.

Associazione per delinquere, corruzione, frode fiscale, violazione di atti coperti dal segreto istruttorio, finanche accesso abusivo nel sistema informatico. Messo in esecuzione anche un sequestro pari a sette milioni di euro, in uno scenario che conviene raccontare partendo da una premessa: tutti i soggetti coinvolti avranno modo di replicare alle accuse e vanno considerati pertanto non colpevoli fino ad una eventuale prova contraria. Tutti avranno modo di replicare alle accuse a partire da domani, nel corso degli interrogatori di garanzia.

Un’inchiesta che ruota attorno a quanto sarebbe accaduto all’interno dello studio di via San Tommaso d’Aquino, ricondotto a Giovanni Pizzicato, classe 1962: leader nel settore del ferro, in passato titolare di alcune partecipazioni societarie in alcuni locali della movida, oggi finisce in cella assieme al fratello Giuseppe (classe 1982), al termine di un’inchiesta condotta su più livelli. Proviamo a seguire il ragionamento del gip: i commercialisti Giovanni Pizzicato e Fabrizio Mezzaro vengono indicati come promotori e organizzatoiri, ritenuti gestori occulti di una società di consulenza Getsure, che sarebbe stata utilizzata «per ricevere illeciti pagamenti da imprenditori oper le corruzioni dei pubblici ufficiali, giustificati da fittizie consulenze». Una sorta di mediazione illecita con quelli che avrebbero dovuto svolgere controlli e accertamenti. In questa vicenda entrano in gioco altre figure professionali: Giulio Ferri e Michele Petrellese avrebbero messo in piedi frodi carosello, Ferri «quale amministratore di diritto e di fatto di una società con funzione di filtro»; Petrellese, in quanto presunto amministratore di numerose società cartiere in Repubblica ceca e in Albania».

Sotto i riflettori anche il ruolo di Giuseppe Pizzicato, che «avrebbe mantenuto contatti con imrenditori che chiedevano l’intervento del sodalizio per bloccare le indagini della guardia di finanza; oltre ad effettuare materialmente le retrocessione di denaro agli imprenditori che partecipavano alle frodi». E non è tutto: nell’inchiesta dovranno dimostrare la correttezza della loro condotta, anche Mario De Lucia, Generoso De Santis e Giuseppe Silvestro, tutti appartenenti alla Guardia di Finanza, che avrebbero fornito informazioni in ordine alle indagini svolte dagli uffici di appartenenza; ma anche Antonio Cristoforo, dirigente dell’agenzia delle entrate-riscossione, che avrebbe effettuato «accessi indebiti e abusivi ai sistemi informatici», adoperandosi - si legge - per i soggetti che si rivolgevano allo studio Pizzicato-Mezzaro. 

Accuse che nascono grazie a indagini che si sono avvalse di un trojan, all’interno del cellulare di uno degli indagati, che ha rappresentato una chiave di volta sulle presunte attività di consulenza sospette che sarebbero state effettuate all’interno dello studio di via San Tommaso. Ed è proprio il gip a ricordare che quando clienti e presunti complici entravano all’interno della sede professionale dei manager coinvolti, veniva loro chiesto di lasciare all’ingresso il telefonino spento. 



Una tutela che non ha consentito di far emergere uno spaccato professionale che ora attende la replica dei diretti interessati. Difesi, tra gli altri, dai penalisti Paolo Stravino (che assiste i fratelli Pizzicato), Francesco Carotenuto e Sara Perrotta (che assistono il commercialista Mezzaro) e Guido Furgiuele (che assiste uno dei consulenti informatici del gruppo), tutti gli indagati avranno modo di replicare alle accuse, nel corso degli interrogatori di garanzia fissati dal gip.  Leggi l'articolo completo su
Il Mattino