Inviato Somma Vesuviana. Un’attesa incredula, attonita, snervante. Una giornata cruciale, in cui il tempo sembra essersi fermato. Otto ore d’ansia ieri, trascorse davanti...
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«Quella maledetta sera del 17 marzo come del resto in nessun altro momento Giosué avrebbe potuto commettere qualcosa di brutto», così dice chi lo conosce. Sulla strada che dalla città alle falde del Vesuvio conduce a tutti gli altri comuni del Napoletano c’è un bar ben accorsato, un punto di ritrovo per lavoratori di passaggio e per gente della zona. Il locale si trova proprio di fronte alla traversa che porta all’abitazione del giovane di 26 anni, militare dell’Esercito, impegnato in questi mesi con il concorso per entrare nella Guardia di Finanza, unico indagato per il duplice omicidio di Pordenone, figlio di un artigiano in pensione e di un’insegnate: «Conosco bene la madre - dice una donna - di recente ha subito un importante intervento chirurgico. È una famiglia perbene, non può essere stato Giosué a commettere quella cosa orrenda». Nel pomeriggio al balcone della palazzina dei Ruotolo, ci sono le persiane un po’ aperte.
Al balcone si affaccia il fratello dell’indagato: «Non sappiamo nulla. Non riusciamo a metterci in contatto con gli avvocati né con mio padre. Sono tutti in tribunale», la preoccupazione è densa. Ieri, poco prima di entrare in tribunale, Giosué Ruotolo ha modificato la sua versione dei fatti: quella sera «non ero a casa a giocare alla play station ma al Palasport Crisafulli. Volevo fare un po’ di pesi ma nel parcheggio non c’era posto. Allora ho pensato di fare un po’ di corsa però il freddo era pungente e sono tornato a casa».
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Il Mattino