Altri sei mesi di indagini per capire se quei tre rampolli di camorra si macchiarono dell'omicidio di un innocente. Si riapre il caso di Giuseppe Veropalumbo, giovane padre di...
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Giuseppe fu raggiunto da un proiettile che non gli lasciò scampo, mentre aveva in braccio la sua bambina. Per questo omicidio, sono indagati tre rampolli del clan Gionta, all'epoca dei fatti minorenni tra i 14 e i 15 anni, oggi tutti detenuti per reati di camorra, due di loro addirittura ristretti al regime del carcere duro.
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Le indagini sono ripartite grazie alla dichiarazioni di Michele Palumbo, killer del clan Gionta oggi pentito, che ha individuato autori e movente dell'omicidio. Non fu un incidente durante i festeggiamenti del capodanno, secondo Palumbo, ma un'azione mirata: «Il papà di uno dei tre era stato arrestato per colpa di una telecamera che Veropalumbo aveva fatto installare sul tetto del palazzo». Un omicidio volontario, premeditato e chiaramente di camorra, insomma.
Le nuove certezze investigative sono arrivate grazie alle tecnologie stile «Csi», con un drone, laser e indagini di laboratorio che hanno permesso di trovare altri proiettili conficcati attorno al nono piano, calcolando con precisione il luogo dal quale erano stati esplosi dalla roccaforte del clan Gionta e ritrovare l'arma negli archivi della polizia, dove era custodita già da due settimane dopo il delitto. Sì, perché i sommozzatori ripescarono quella pistola calibro 9x21 Tanfoglio modello Limited 921 nelle acque del porto di Torre Annunziata praticamente subito, grazie ad una soffiata. Ma l'arma non fu collegata a quell'omicidio Veropalumbo, né ad altri fatti di camorra.
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Nonostante i tanti elementi, la Procura per i Minorenni aveva deciso di archiviare il caso, ma la vedova Carmela Sermino si è opposta alla richiesta. Il ricorso presentato dal collegio difensivo costituito dagli avvocati Marco Ferrara, Carminuccia Marcarelli, Stella Arena e Gaia Tessitore è stato accolto dal gip Paola Brunese, che ha disposto ulteriori indagini. «Appena ho saputo la notizia - racconta Carmela Sermino - sono scoppiata a piangere. Non è una vittoria, ma un importante barlume di speranza. Sono dodici anni di lotta, voglia di verità e giustizia, e di delusioni. Una ferita sempre aperta. Non è possibile che dopo tanto tempo non abbiamo ancora un responsabile per la morte di Peppe. Questa è una sconfitta per noi, familiari di una vittima innocente di camorra mai riconosciuta come tale, ma anche per lo Stato».
Nei prossimi sei mesi le indagini saranno serrate. Sarà interrogato il poliziotto che mise quella telecamera, per capire chi gli diede accesso. E ancora, sarà acquisito il fascicolo dell'arresto del papà del minorenne, avvenuto alcuni mesi prima in un maxi blitz anticamorra. Inoltre, è stato disposto l'ascolto di altri testimoni, tra cui un altro rampollo dei Gionta che in passato era stato indagato per questo omicidio. Tutto con alcuni inquietanti interrogativi che si fanno largo. Se fu realmente Veropalumbo a dare accesso ai poliziotti al lastrico solare per installare la telecamera, chi informò di questa circostanza i tre baby camorristi? Perché gli stessi poliziotti non pensarono mai a questo movente? E, soprattutto, perché quella pistola non fu collegata a quel raid? Leggi l'articolo completo su
Il Mattino