La parabola lucente di Diego Armando Maradona cominciò a precipitare nel 1986, il giorno in cui apparvero le sue fotografie in casa Giuliano a Forcella, celebre quella...
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Si capisce perché questi contatti li cerchi chi sta al di là dei confini della legge, è una gratificazione, un segno di potere, forse perfino un indizio di appartenenza alla città attraverso i suo simboli popolari. Molto meno si capisce perché i giocatori si lascino risucchiare in questa zona di opaca contiguità. Non si può certo pretendere che abbiano letto il libro sulla malavita napoletana di Marc Monnier che nel 1827 già tracciava uno schema preciso: «Il tabacco, il vino, il giuoco, erano in poter della camorra. Così il danaro, che la setta avea pagato per togliere ai detenuti la lor veste nuova o il loro vitto, tornava fatalmente alla setta, la quale speculava sui piaceri dopo aver speculato sui bisogni».
Si può però esigere che abbiano almeno saputo delle disavventure di Maradona, del mistero dello scudetto 1987-1988 perso a vantaggio del Milan in un suicidio pallonaro, con la scia maligna di voci su forti scommesse in mano a uomini di rispetto. O della lunga serie di furti subiti da campioni azzurri. O delle visite del difensore Fabiano Santacroce a un uomo agli arresti domiciliari per fatti di droga. O della presenza di boss ai bordi del campo. O degli striscioni che uno di questi signori espose a sostegno di Ezechiele Lavezzi, in cambio della promessa di non lasciare il Napoli. I piaceri proposti dalla camorra ottocentesca per lusingare sono cambiati, ora la parola d’ordine è movida. Locali di moda, lusso, ville azzurre di piscina, discoteche, donne con più curve di un autodromo.
Un campione non è un intellettuale, è giovane e da certi ambienti è attratto. Non sono più i tempi di Lombroso, un malvivente non ha cicatrici sulla faccia, veste elegante e si può confondere nel bel mondo. Però un campione dovrebbe imparare a fiutare i rischi, soprattutto in una città come Napoli, e rifiutare certi inviti e certi posti almeno sospetti. Uno dei tre Esposito aveva avuto una condanna a sette anni come affiliato del Clan Sarno. Evidentemente non lo sapeva Gonzalo Higuain, che si è fatto immortalare con lui e gli altri con due dita aperte in segno di vittoria. Non lo sapeva Pepe Reina, del quale uno dei tre ha raccontato: «Ero a casa sua, la Roma lo chiamò e gli propose più soldi del Napoli e lui non aveva nemmeno il contratto, ma rifiutò».
Non lo sapevano Callejon, Paolo Cannavaro, Christian Maggio, due mondi così distanti sono diventati vicini.
Il Mattino