«Nominando Torre del Greco mi vengono in mente due cose: il mare, ovviamente, e il corallo». La cortesia nella voce, il garbo nei modi e la precisione dei ricordi...
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Ha letto delle ultime vicende giudiziarie che riguardano la sua città di origine? Che ne pensa?
«Non posso esprimere una opinione precisa, non conosco bene i fatti. Ma certamente Torre del Greco non è più quella di un tempo. I cambiamenti sono stati netti su tutto il territorio, alcuni anche positivi. Si va avanti, per fortuna. Altri, invece, ci hanno fatto perdere terreno».
Che ricordi la legano a Torre del Greco?
«Tantissimi. Ci sono nato e ci ho vissuto fino a quando, dopo la laurea in Giurisprudenza all'Università di Napoli, sostenuto nella scelta da alcuni amici che se n'erano già andati, ho pensato anche io di fare la valigia. In verità io sono metà torrese, per parte di padre, e metà vomerese, per parte di madre. Gli anni dell'Università li ho passati in modo significativo nella casa dei nonni materni, al Vomero. Ma a Torre sono legato per tutto il ramo paterno. E mi vengono in mente soprattutto due cose: il mare, questa presenza incombente, e poi il corallo rosso. Mio nonno lavorava il corallo. E tutti i suoi figli lo stesso».
Anche suo padre?
«Certo, anche se poi lui e i suoi fratelli, come spesso succede dalle nostre parti, si divisero e ognuno andò per conto suo. Ma il corallo rosso è stato sempre presente in casa nostra. Del resto era amato in tutto il mondo. Ci conoscevano ovunque come incisori e lavoratori del corallo».
Un'arte, diventata economia, mentre appare in crisi anche il settore dei cantieri navali, degli armatori, altro elemento che dava occupazione. Ed è un vero peccato. Perdiamo tutte le nostre grandi risorse.
«Perché si fa così fatica a mettere a frutto i talenti sui nostri territori? La sensazione è che siamo sempre un poco a metà. Anche Torre del Greco mi pare una città a metà. Grandi origini, grande tradizione. Poi, però, una nobiltà decaduta. Non solo nelle grandi cose, anche in quelle piccole, di vita quotidiana. La politica ma anche la vita di tutti i giorni».
Com'era la politica quando lei viveva a Torre del Greco? «Avevamo i partiti tradizionali, che si confrontavano, si contrastavano. Figure anche importanti. Non amo fare nomi per non fare torto a nessuno. Ma c'erano profili significativi e si viveva la battaglia politica sulle idee».
E poi la presenza di Enrico De Nicola.
«Il presidente, certo. Un punto di riferimento. Oggi c'è una via intitolata a lui. C'è la villa. Erano altri tempi, senza dubbio. Non solo anagraficamente. Direi anche culturalmente».
Lei ci torna ancora?
«Tutti gli anni, per le feste. Ho una sorella che vive a Torre del Greco. Io e mia moglie siamo legatissimi alla sua famiglia e ci torno sempre. Poi da Roma è facile. Non frequento molto la cittadina, restiamo in famiglia. Ma ho avuto modo in tutti questi anni di assistere alla trasformazione. Mi sembra che tutte le potenzialità non si siano espresse. Si vedono ancora, si nota la personalità del luogo. Ma sembra perduta l'identità».
Città leopardiana, città delle ville del Miglio d'oro, città archeologica, città vesuviana e città di mare. Altrove ne avrebbero fatto una capitale.
«Appunto, ma non è la sola. A Torre o grieco, si diceva una volta ed è inserita in un percorso culturale ideale con altre città limitrofe che però non si esprime. Ha anche una sonorità dialettale bellissima e particolare, che io tra l'altro parlo bene, facendo ancora divertire i miei amici romani. Certo, non è come l'inflessione di Torre Annunziata, ancora più marcata, ma anche quella di Torre del Greco ha una sua musicalità felice».
Lei è andato via a un certo punto. Consiglierebbe la stessa cosa a un ragazzo oggi?
«Ognuno ha il suo percorso, difficile dare consigli. Però non mi pare che ci siano grandi alternative».
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Il Mattino