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«Nei fascicoli delle indagini mancano atti, carte, documenti e riscontri fin dall'inizio. Ormai so bene che non conoscerò mai la verità sulla morte di mio marito, ma pretendo giustizia e il riconoscimento di vittima innocente di camorra». Carmela Sermino commenta in maniera molto amara l'ennesima richiesta di archiviazione dell'inchiesta sulla morte di suo marito Giuseppe Veropalumbo, ucciso la notte di capodanno di tredici anni fa mentre era a tavola in casa sua a Torre Annunziata.
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Tre minorenni del clan Gionta è l'ultima ipotesi salirono sul tetto di Palazzo Fienga e spararono all'impazzata contro casa loro.
«La verità forse non verrà mai fuori - sostiene Carmela Sermino - ma è certo che qualche magistrato e qualche investigatore non fecero il loro dovere all'epoca. La pistola era stata trovata pochi giorni dopo e non fu mai ricondotta a quell'episodio. Peppe è vittima di Stato. Addirittura in ospedale un medico disse che era morto perché trafitto da qualcosa simile ad una penna e non voleva neanche fare la radiografia». Un omicidio in famiglia, in pratica, un'ipotesi che fu pure seguita dalle inutili perquisizioni in casa. Solo il mattino seguente si capì cos'era successo nel rione Carceri, il fortino del clan Gionta, con centinaia di proiettili sull'asfalto. Eppure, nonostante il contesto sia chiaramente camorristico, tarda ad arrivare il riconoscimento che passa anche attraverso una causa civile fissata solo a giugno del 2021.
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