Il Natale al Cotugno della dottoressa Costanza: «Le mie feste in corsia, ho paura a stare fuori»

Il Natale al Cotugno della dottoressa Costanza: «Le mie feste in corsia, ho paura a stare fuori»
È Natale anche al Cotugno, tra i letti delle terapie intensive e sub-intensive, nelle zone sporche e nelle zone pulite, nelle stanze con i malati Covid ingabbiati nei...

OFFERTA SPECIALE

2 ANNI
99,98€
40€
Per 2 anni
SCEGLI ORA
OFFERTA FLASH
ANNUALE
49,99€
19€
Per 1 anno
SCEGLI ORA
 
MENSILE
4,99€
1€ AL MESE
Per 3 mesi
SCEGLI ORA

OFFERTA SPECIALE

OFFERTA SPECIALE
MENSILE
4,99€
1€ AL MESE
Per 3 mesi
SCEGLI ORA
 
ANNUALE
49,99€
11,99€
Per 1 anno
SCEGLI ORA
2 ANNI
99,98€
29€
Per 2 anni
SCEGLI ORA
OFFERTA SPECIALE

Tutto il sito - Mese

6,99€ 1 € al mese x 12 mesi

Poi solo 4,99€ invece di 6,99€/mese

oppure
1€ al mese per 3 mesi

Tutto il sito - Anno

79,99€ 9,99 € per 1 anno

Poi solo 49,99€ invece di 79,99€/anno

È Natale anche al Cotugno, tra i letti delle terapie intensive e sub-intensive, nelle zone sporche e nelle zone pulite, nelle stanze con i malati Covid ingabbiati nei rumorosissimi caschi respiratori, o dove ansima solo una macchina, nei tentativi più estremi e disperati. È Natale anche qui, per gli ammalati che stanno bene ma poi si aggravano in due ore, o viceversa, per gli infermieri bardati come astronauti, per i medici con il cuore sempre in gola, per chi stacca alla vigilia e lavora il giorno dopo; per chi lavora entrambe le feste e poi recupera. Per chi non stacca proprio mai, perché si porta tutto a casa, e alla fine con questi lavori che prendono mente e corpo è così: non è Natale mai. «A me la malinconia viene quando me ne vado», dice Costanza Sbreglia, direttore facente funzione della VII sezione Malattie infettive dell'ospedale Covid più importante del Mezzogiorno, il Cotugno. Da Marigliano ai Camaldoli, ogni giorno, 60 chilometri avanti e indietro. Da 34 anni in corsia.

La malinconia quando se ne va, dottoressa? Perché?
«Perché io torno a casa mia, e loro restano lì».

Loro chi sono?
«Sono i miei pazienti Covid. Io a fine turno ritrovo un minimo di normalità. Loro restano nell'angoscia e nel dolore. Ho un'ansia pazzesca quando lascio il reparto e vado a prendere la mia auto».

A Natale di più? Come si vivono le feste nelle corsie del Cotugno?
«Non c'è una grande differenza. È tale la sofferenza di questi malati che il loro unico pensiero è stare bene. Pensano solo a guarire, vogliono rimettersi in piedi. In questo momento abbiamo tre ragazzi con meno di 30 anni. Poi, per il resto, per lo più anziani. Questo rende la situazione ancora più triste».

Sono soli?
«No, hanno famiglie che si preoccupano per loro. Ma non sanno usare le nuove tecnologie. I ragazzi, se stanno bene, prendono uno smartphone, fanno una videochiamata. Ma i nonni? Molti non sono autosufficienti. Come parlano con le famiglie? Noi proprio ieri ci siamo inventati un sistema».

Che sistema?
«Abbiamo deciso di immolare un cellulare. Abbiamo la zona sporca, quella dove ci sono i contagiati, e la zona pulita, quella dove non ci sono. Nulla può passare da una zona all'altra. Passiamo noi per le visite ma prima e dopo ci sanifichiamo. Ma niente oggetti. Allora abbiamo portato un cellulare dalla zona pulita a quella sporca, e lo abbiamo lasciato lì. Quando facciamo il giro, lo usiamo per videochiamare i familiari degli anziani».

Sono contenti?
«Non lo so. Lo abbiamo fatto con l'idea di tenere un filo teso di speranza. Ma ho visto negli occhi di alcuni figli una tristezza ancora più profonda nel vedere il genitore con una maschera, con un casco, con una smorfia di dolore. Forse non è del tutto una cosa giusta. Ma sono momenti terribili. Parliamo di anziani che spesso non ce la fanno, e peggiorano molto rapidamente. A volte è un attimo. Viviamo sempre con l'ansia. Per questo, quando finisco il turno, mi viene la malinconia».

Come si sopporta tutto questo?
«Non lo so. A volte penso che quando finirà crolleremo tutti. Ora ci tiene in piedi l'adrenalina. Ma poi dove si scaricherà tutta questa tensione? Sono molti mesi che viviamo sotto stress. Intanto ce la portiamo a casa, nella nostra vita quotidiana».

Lei ha paura di portare a casa anche il virus?
«No, per nulla. Io dico sempre che ho paura di andare a fare la spesa, non di lavorare in un ospedale di malattie infettive. Lì tutti sappiamo cosa e come fare. È un luogo sicuro. Lì non sbagliamo. I rischi si corrono fuori, per una distrazione, per un errore anche altrui».

Cosa pensa quando vede le scene di assembramenti per le strade?
«Resto senza parole. Ieri ho fatto una lunga coda di traffico dall'ospedale fino a casa. Ero allibita. Vedo tanta superficialità. Capisco che la gente sia stanca. Ma non abbiamo scelta. Bisogna fare attenzione».

In corsia le cose, però, vanno meglio rispetto a novembre?
«Sì, un po' sì. Però arrivano pazienti molto gravi, che sono rimasti a casa troppo a lungo. Ma sono sicura che di questo passo, dopo l'Epifania saremo di nuovo travolti. E saremo, purtroppo, ancora più stanchi».

Come sarà il suo Natale?
«Oggi lavoro fino a tardi, domani riposo. Sarò in famiglia, con mio marito e uno dei miei figli. L'altro è bloccato a Dublino. Non riesco a considerarlo un sacrificio, se penso a chi sta davvero soffrendo. Sarà che vedo ogni giorno il dolore vero, lo sento addosso. Ma non posso considerare un sacrificio una cena con poche persone, mentre si ha la fortuna di stare bene».

Il vaccino ci salverà?
«Io non lo faccio domenica 27 perché non sono di turno, altrimenti lo avrei fatto. Mi vaccinerò appena arriverà il mio turno, mi sono già prenotata. Non ho timori scientifici ma qualche preoccupazione organizzativa. C'è una catena del freddo molto complessa, una procedura delicata. Se facciamo tutto bene, ci metto la mano sul fuoco, ne usciamo. Ma dobbiamo impegnarci, non abbiamo scelta. È l'unica salvezza».

Quando finirà?
«Io mi auguro che per la tarda primavera la rotta si possa invertire. Avremo un po' di immunizzati naturali, avremo un po' di immunità da vaccino, il caldo ci aiuterà e forse piano piano riusciremo a rimettere in piedi la vita di sempre».

È il suo auguro per l'anno nuovo?


«Il mio augurio è ancora per l'anno vecchio: dobbiamo essere responsabili. Abbiamo fatto tanto, non perdiamo tutto nell'ultima fase. L'augurio è che recuperiamo tutti un po' di buon senso». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino