Infermieri, Campania maglia nera d'Italia: ce n'è uno per 17 pazienti

Infermieri, Campania maglia nera d'Italia: ce n'è uno per 17 pazienti
Sono sempre di meno, seguono un numero troppo elevato di pazienti e chi è in servizio è sempre più vecchio. Gli infermieri rappresentano una figura...

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Sono sempre di meno, seguono un numero troppo elevato di pazienti e chi è in servizio è sempre più vecchio. Gli infermieri rappresentano una figura fondamentale dell’assistenza sanitaria, e in Campania emerge un quadro piuttosto squilibrato rispetto al resto dell’Italia. Negli anni il numero di infermieri alle dipendenze del Servizio sanitario nazionale è drasticamente e continuamente calato. In Campania si calcola che il numero degli infermieri dipendenti del Ssn nel 2016 era di 18.531, mentre nel 2009 era di 21.258. Si sono persi quindi in sei anni 2.727 unità, il calo più elevato registrato in Italia. Questi numeri, insieme a tante altre informazioni, emergono da uno studio dell’Osservatorio civico sulla professione infermieristica, promosso da Cittadinanzattiva-Tribunale per i diritti del malato insieme alla Federazione nazionale degli ordini delle professioni infermieristiche e presentati al primo congresso. Dalla ricerca emerge che la nostra regione detiene anche un altro primato al negativo: ogni infermiere campano del Ssn segue ben 17 pazienti in media. Un valore che va assolutamente abbattuto poiché secondo un recente studio pubblicato sul British Medical Journal, la riduzione da 10 a 6 pazienti medi per ogni infermiere abbatte il rischio di mortalità del 20 per cento. In Italia ogni infermiere ha in carico in ospedale in media 11 pazienti, e al pessimo valore campano rispondono quelli delle Regioni a statuto ordinario ossia Veneto, Toscana, Liguria e Basilicata dove ogni infermiere ha in media in carico 8-9 pazienti. 


La Campania ha la maglia nera anche per il dato relativo all’età dei dipendenti del Servizio sanitario nazionale: sono nostri gli infermieri più «anziani» con un età media di 53 anni e mezzo, contro una media nazionale di 50 anni e mezzo, e regioni modello come Lombardia, Umbria ed Emilia Romagna dove l’età media è di 49 anni. In Campania inoltre gli infermieri del Ssn hanno anche 9 anni più della media degli iscritti campani all’Ordine (44 anni).
 
Dall’indagine emerge ancora un dato scoraggiante: dal 2009 (anno dell’ultimo contratto e anno in cui sono iniziati i piani di rientro per le regioni fortemente in deficit economico, quasi tutte del Sud) si sono perse 12.031 unità di personale, contro, i 7.731 medici. Le perdite in entrambi le professioni però hanno paradossalmente mantenuto costante il rapporto medici-infermieri (1 ogni 2,5) che convenzionalmente a livello internazionale è fissato in 1 ogni 3. In Campania però questo rapporto è più basso così per ogni medico ci sono solo 2 infermieri, ma almeno stavolta non siamo primi: peggio di noi Sicilia e Calabria con un rapporto 1 ogni 1,9. «Il Paese ha bisogno di infermieri e di infermieristica. Eppure il Ssn vede un costante decremento del numero di professionisti in Sanità e conseguentemente una sempre minore capacità di rispondere ai bisogni di salute della popolazione. Su questa impostazione la comunità degli infermieri chiama a un confronto esplicito la politica Nazionale e Regionale» afferma la presidente Fnopi Barbara Mangiacavalli. 


Analizzando i dati tra carenze attuali e quelle future, emerge che se nel 2016, su una popolazione da assistere (pesata secondo cronici e non autosufficienti) di 1.443.331 unità, c’era bisogno di 5.279 infermieri nella nostra regione, nella proiezione del 2021 ne occorreranno almeno 6.299. La carenza di infermieri a livello nazionale è di almeno 20mila in ospedale e 30mila per rendere efficiente l’assistenza continua sul territorio. Ben 50mila in meno, quindi, con un numero che continua ogni anno a calare: dal 2009 al 2016 se ne sono persi oltre 12mila. Al di là della grave carenza di personale «si deve riuscire ad aumentare rapidamente il rapporto infermieri-medici per accompagnare l’evoluzione dei bisogni e migliorare appropriatezza e sostenibilità del sistema, soprattutto nelle regioni in cui demografia ed epidemiologia rendono più ampio il gap tra bisogni e offerta». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino