Oltre 42 milioni di euro sono spesi in un anno nel nostro paese per risarcire ingiuste detenzioni e errori giudiziari. Nel 2016 sono state 1001 le ordinanze emesse dagli organi...
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«Non c’è neanche un meccanismo che porti questo provvedimento di indennizzo sul tavolo del titolare dell’azione disciplinare. Non si guarda proprio nulla. Questo - aggiunge Costa - incide sull’abuso della custodia cautelare, tanto se ci si sbaglia non ci sono conseguenze disciplinari». E snocciola numeri sui detenuti in via cautelare: sono tantissimi, un terzo della popolazione carceraria. «La custodia cautelare è usata come una sorta di anticipazione della pena, pena di cui poi paradossalmente manca la certezza una volta che la persona viene condannata». Il tema è uno dei più caldi in materia di giustizia. A Napoli pendono circa un migliaio di richieste di misura cautelare mentre sono più di 12mila le sentenza passate in giudicato ma non ancora eseguite. Considerato che ogni sentenza può riguardare uno o più imputati, si può avere un’idea della situazione. In pratica, in carcere ci sono più presunti innocenti che certi colpevoli. Il problema dei ritardi nelle esecuzioni della sentenze passate in giudicate è stata una delle priorità del presidente della Corte di Appello di Napoli, Giuseppe De Carolis di Prossedi.
«È paradossale - spiega - che si continuino a emettere misure cautelari nei confronti di imputati che non sono ancora stati condannati e godono quindi della presunzione di innocenza, mentre tantissimi imputati, tra i quali probabilmente molte delle stesse persone nei cui confronti vengono richieste misure cautelari e che sono stati già riconosciuti colpevoli e condannati con sentenza definitiva, rimangono liberi di continuare a delinquere». E non c’è alcun errore dei magistrati in tutto questo, nel senso che il sistema prevede che i gravi indizi che nella fase iniziale delle indagini bastano a far arrestare un indagato non siano sufficienti a determinarne la condanna. Perché per arrestare servono indizi, per condannare prove. «E la soluzione - ragiona De Carolis - non può essere ridurre drasticamente il ricorso alla misura cautelare. Come si fa a non arrestare una persona accusata di un reato grave, come un omicidio o una violenza? Certo, però, può accadere che quella persona accusata da un testimone poi venga assolto perché magari in dibattimento quello stesso testimone ritratta». A ciò si aggiungano i tempi per arrivare a sentenza. «Occorre intervenire sul sistema nel suo insieme - afferma il presidente - investire in mezzi e risorse che consentano di accelerare i tempi dei processi e di non lavorare sempre sull’urgenza come invece accade ora. E una priorità deve essere l’esecuzione delle sentenze: non può esserci fretta nell’emettere una misura cautelare e poi, a processo concluso, non avere uguale fretta nell’eseguire la sentenza». È il nodo di una giustizia che arranca, di un sistema che presenta come fiosiologica l’ingiusta detenzione. Patologico è il solo errore giudiziario, peraltro molto raro. L’ingiusta detenzione invece è diffusa e nel 50% dei casi, soprattutto in realtà come quella napoletana ad alto tasso di recidiva, riguarda imputati che sono comunque destinatari di condanne definitive. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino