Il maestro di Irma Testa: «Il mio ring salva dai clan ma lo Stato non mi aiuta»

Il maestro di Irma Testa: «Il mio ring salva dai clan ma lo Stato non mi aiuta»
Inviato a Torre Annunziata Ha 83 anni, ben portati. Una vita dedicata a insegnare la boxe e a Torre Annunziata lo chiamano tutti «maestro». Lucio Zurlo ha forgiato...

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Inviato a Torre Annunziata

Ha 83 anni, ben portati. Una vita dedicata a insegnare la boxe e a Torre Annunziata lo chiamano tutti «maestro». Lucio Zurlo ha forgiato campioni nella sua «Boxe Vesuviana» immersa nel popolare quartiere Provolera. Il ring , i sacchi, i pesi, poi le pareti tappezzate con le foto dei campioni che qui si sono allenati. Campeggia il grande manifesto con la foto di Irma Testa e la scritta «Grazie, Irma».

Maestro Zurlo, questa palestra è una speranza per Torre Annunziata?
«Chiedetelo alla gente, decine di mamme mi ringraziano per aver tolto dalla strada i figli. Qui sono passati a decine nei 61 anni di vita della palestra. La boxe detta regole di vita».

Quando è nata la «Boxe Vesuviana»?
«Nel 1960, ci chiamavamo Puglistica Oplonti ed eravamo in un'altra sede. Fummo sfrattati perché il Comune non pagava il canone al proprietario. Ci spostammo qui, su concessione comunale, in questa che era la palestra creata dal fascismo per i giovani balilla. Ci siamo da 20 anni, ma ancora non sappiamo a chi dovremmo pagare il canone».

Non c'è un proprietario?
«Non si sa se è la Regione o il Comune. Andiamo avanti, con sacrifici, pagando le spese di gestione senza aiuti pubblici».

I ragazzi che si allenano pagano una retta?
«Non paga chi fa attività agonistica. Prendiamo 10 euro al mese, un costo non elevato, da chi può darcele e fa attività pre-agonistica».

Qualche nome dall'album di foto alle pareti della palestra?
«Oltre a Irma Testa, il diciannovenne Michele Baldassi che è di questo quartiere ed è una vera promessa, campione nazionale. Sarà alle prossime Olimpiadi».

Chi è stato il primo a partecipare alle Olimpiadi?
«Nel 1972, Ernesto Bergamasco. Alle pareti sono incorniciate le tute dell'Italia dei nostri ragazzi delle spedizioni olimpiche».

Nell'ideale rassegna di campioni, chi altro ricorda?
«Tanti, andati avanti con sacrifici e determinazione, oltre che per qualità innate. Ricordo Giuseppe Langella, il pugile-pescatore. Nella foto qui è vicino a Don King, organizzatore dell'incontro tra George Foreman e Muhammed Alì nel 1974. Gli propose di andare a combattere negli Stati Uniti, ma rifiutò perché disse che aveva da fare qui. Lavorava su un peschereccio e si alzava ogni mattina alle cinque».

È vero che gli inizi era contrario all'ingresso delle donne nella boxe?
«Si, poi mi sono ricreduto e la prima a frequentare con successo la palestra è stata Mina Morano. Una rivoluzione, ma oggi le donne dimostrano più tenacia e forza di carattere degli uomini. C'è Irma, c'è stata la sorella, poi Rosaria Montuori. Le ragazze che si allenano nella mia palestra sono una ventina».

Ha qualche recriminazione sui giovani passati qui?
«Il primo nome che mi viene in mente è Pietro Aurino, che aveva talento e partecipò ai Giochi di Atlanta nel 1996. La testa non lo ha aiutato e si è lasciato travolgere da cattive compagnie. È finito in carcere per associazione camorristica. Eppure, lo chiamavano il Maradona del ring».

È vero che in palestra si allenavano anche i figli della famiglia del clan camorristico dei Gionta?
«Sì, anche i figli di altre famiglie con problemi giudiziari. Si comportavano tutti con rispetto e non discutevano mai rimproveri e insegnamenti. Nessuno, però, ha avviato un'attività agonistica. Una cosa è battersi per strada, senza regole e con colpi bassi, altra è la boxe dove devi rispettare gli avversari con cui ti batti».

Ha un ricordo su questo?
«C'era un ragazzino che faceva lo spavaldo, qui come fuori. Al primo combattimento lo misi contro un ragazzino agile nei movimenti. Lui non riusciva a colpirlo, poi capì che gli avevo scelto apposta l'avversario e mi disse che aveva capito. Lo abbracciai».

Altri campioni della palestra?
«Gaetano Nespro campione italiano, Pasquale Perna che ha difeso 17 volte il titolo italiano. Tanti nomi, molti di Torre Annunziata, ma anche di zone vicine. Cambiammo il nome in Boxe Vesuviana perché volevamo essere un riferimento più ampio come lo era la palestra Fulgor a Napoli».

È vero che non è mai salito a combattere sul ring?


«Sì, alla mia epoca raggiungere Napoli per allenarmi alla Fulgor era un'impresa. Feci il corso per tecnico, che allora durava due anni, e mi dedicai a insegnare la boxe. Mio figlio Biagio è stato campione italiano, oggi insegna al liceo di Torre ed è dirigente federale. Ho fatto l'infermiere per 33 anni, ma la palestra e la boxe sono stati la mia vita».


 

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Il Mattino