Sprofondo Sud, la mappa dei paesi fantasma della Campania dove non vive più nessuno

Sprofondo Sud, la mappa dei paesi fantasma della Campania dove non vive più nessuno
Sono il simbolo di un pericolo. Il sud dei piccoli borghi, specie nelle aree interne, a rischio estinzione. Il sud che si spopola, dove la gente fugge per lavorare o per reagire a...

OFFERTA SPECIALE

2 ANNI
99,98€
40€
Per 2 anni
SCEGLI ORA
OFFERTA FLASH
ANNUALE
49,99€
19€
Per 1 anno
SCEGLI ORA
 
MENSILE
4,99€
1€ AL MESE
Per 3 mesi
SCEGLI ORA

OFFERTA SPECIALE

OFFERTA SPECIALE
MENSILE
4,99€
1€ AL MESE
Per 3 mesi
SCEGLI ORA
 
ANNUALE
49,99€
11,99€
Per 1 anno
SCEGLI ORA
2 ANNI
99,98€
29€
Per 2 anni
SCEGLI ORA
OFFERTA SPECIALE

Tutto il sito - Mese

6,99€ 1 € al mese x 12 mesi

Poi solo 4,99€ invece di 6,99€/mese

oppure
1€ al mese per 3 mesi

Tutto il sito - Anno

79,99€ 9,99 € per 1 anno

Poi solo 49,99€ invece di 79,99€/anno

Sono il simbolo di un pericolo. Il sud dei piccoli borghi, specie nelle aree interne, a rischio estinzione. Il sud che si spopola, dove la gente fugge per lavorare o per reagire a sciagure come frane e terremoti. I paesi diventati da anni già fantasma nel Mezzogiorno, tra cui ben 17 in Campania, riportano al passato, a tante Pompei contemporanee di civiltà contadine e culture locali. Ma quei paesi sono anche ammonimenti su quello che potrebbe accadere in alcune aree del sud. Ne è un esempio la Campania, dove l’ultimo censimento Istat ha accertato in un anno una diminuzione del 4,9 per mille tra i residenti. I piccoli paesi si spopolano.

L’Istat ha lanciato l’allarme: sarebbero più di 5.000 i borghi italiani in odore di estinzione. Ma i veri paesi fantasma, quelli sommersi da edifici in rovina aggrediti dalla vegetazione, location per film o attrazione per turisti in cerca di selfie originali, sono di meno. Ha scritto la docente universitaria genovese Francesca Pirlone: «Dei 5000 paesi italiani in spopolamento, 3000 sono a rischio reale di estinzione. Naturalmente, il rischio maggiore è concentrato nel Mezzogiorno». Luca Di Figlia, docente universitario a Firenze, ha contato 19 paesi già abbandonati in Calabria, 15 in Abruzzo, 6 in Campania, 1 in Basilicata e Puglia. Spiega proprio il professore Di Figlia: «Le cause dell’abbandono sono da ricercarsi in alcune calamità naturali, come frane o terremoti, ma anche non naturali come emigrazione, opere pubbliche, guerre e inagibilità».

Il quadro è variegato: dagli abbandoni per cause geologiche nel territorio dell’Aspromonte in Calabria, alle frane e terremoti in Campania. Il periodo clou per le ghost town è stato il ventennio tra gli anni ‘50 e ‘70 del secolo scorso. Per alluvioni e frane, in quegli anni ben undici paesi tra l’Aspromonte e la Valle del Belice furono evacuati e ricostruiti altrove. Da Africo Vecchio a Gibellina Vecchia fino a Zoparto. Nomi sconosciuti a gran parte degli italiani, che per chi vi è nato divennero ferite aperte alle radici e ai ricordi. Emblematico è rimasto il caso di Roghudi in provincia di Reggio Calabria, evacuata tra il 1971 e il 1973 per le inondazioni e le frane. Al suo posto, nacque una nuova Roghudi realizzata vicino Melito Porto Salvo. Un abitato senza storia, anonimo, rimasto dormitorio senza anima.

La chiamano la Pompei del ‘900. È Apice, in provincia di Benevento. Venne abbandonata nell’agosto del 1962 dopo un terremoto con 17 vittime. Un antico borgo di origine romana. I 6500 abitanti furono trasferiti in un nuovo abitato realizzato nella collina di fronte. Qualcuno si aggrappò alle vecchie case, vi rimase. Come il barbiere che continuò a vivere a Apice, a suo rischio dichiarato, fino a otto anni fa. Più datata, risale al 1930, l’abbandono di Aquilonia in provincia di Avellino dovuto a un altro terremoto. È a ridosso del Vulture, terra di brigantaggio, e il Comune ne ha fatto un parco della memoria. L’elenco del tempo fermato va avanti con Castelpoto in provincia di Benevento, abbandonata dopo il terremoto del 1980 come avvenne per Tocco, sempre nel Sannio. La tragedia che devastò l’Irpinia 41 anni fa ha prodotto il maggior numero di ghost town. Ben sei. Oltre Castelpoto, Conza della Campania e Melito Irpino in provincia di Avellino, Senerchia e Romagnano al Monte in provincia di Salerno. Erano i cosiddetti «presepi» su cui si accese la polemica sollevata da Francesco Compagna, quando si discusse se ricostruirli o evacuarli e rifarli altrove da zero in abitati senza storia.

E poi, stavolta vittime dell’emigrazione che le hanno spopolate, Croce, San Felice e Fondola in provincia di Caserta, o la famosa e ultra visitata San Severino di Centola in Cilento. Più particolare la storia di Roscigno vecchia ancora nel Salernitano, vittima di frane e abbandonata 60 anni fa, location di 3 film tra cui «Noi credevamo» di Mario Martone. Evacuata con più ordinanze, a partire dagli inizi del secolo scorso. Per abbandono sempre per le frane, è disabitato anche Sacco in provincia di Salerno. C’è pure un centro svuotato nell’ultima guerra mondiale. È San Pietro Infine, in provincia di Caserta, spopolato nel 1944 in conseguenza dei bombardamenti subiti. Vi furono girate delle scene del film «La grande guerra» di Mario Monicelli. 

Ai paesi abbandonati ha dedicato ricerche appassionate Fabio Di Bitonto, geologo 38enne napoletano, che ha realizzato anche un sito. Musei a cielo aperto? Spiega il professore Di Figlia: «Il paese abbandonato può diventare una risorsa concreta sul territorio, di carattere culturale, definendone gli ambiti amministrativi per finalità turistiche». Una risorsa poco sfruttata, per assenze e problemi giuridici sulla gestione dei luoghi e degli edifici. Alcune ghost town si possono visitare liberamente, per altri c’è divieto per problemi di sicurezza, altri ancora hanno accesso a pagamento a gestione comunale. Si comprende che le loro sciagure e la loro storia potrebbero diventare occasioni. Ma occorrerebbero investimenti e attenzione dei Ministeri. Il destino di quei paesi incombe minaccioso sui pericoli di nuovi spopolamenti e abbandoni. Uno studio della Cgil campana ha individuato tre zone a rischio: Tammaro-Titerno, Alta Irpinia, Cilento. Scrivendo: «Ogni giorno 90 campani lasciano la loro regione per motivi di studio, lavoro o salute. Occorre dare ossigeno alle aree interne». La Regione ha preparato uno studio. Ma c’è bisogno di progetti finanziabili, per trasformare quello che sembra morto in occasione di ricchezza. Per i ghost town di 40 anni fa e i paesi che rischiano di diventarlo. 

Leggi l'articolo completo su
Il Mattino