«Il suo comportamento riveste livelli di sconsideratezza inimmaginabile» e «una qualsiasi benevola considerazione in termini di pena di fronte ad un così...
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Tre mesi dopo la conclusione del processo di secondo grado, i giudici della terza sezione della Corte d’appello hanno depositato le motivazioni della sentenza che, riducendo da venti a dieci anni di reclusione la condanna per Mormile (difeso nel processo d’appello dagli avvocati Stefano Montone e Gaetano Porto), ha ritenuto di inquadrare i fatti sotto il profilo della colpa e non del dolo eventuale e ritenere l’imputato responsabile dell’accusa di omicidio colposo e non volontario, diversamente da quanto sostenuto nel primo processo.
«Innanzitutto - scrivono nelle motivazioni - va sgomberato il campo dalla suggestione, che ha permeato la prima fase delle indagini e di cui vi è evidente traccia nell’impugnata sentenza, che Mormile ha posto in essere la scellerata condotta di guida per esibizionismo o addirittura con intento suicida, in seguito a un litigio con la Barbato». Nel processo non sarebbero emerse prove di eventuali litigi, e gli amici della coppia avevano testimoniato raccontando di un rapporto sereno. Inoltre, ragionano i giudici, la velocità media tenuta da Mormile durante il tragitto percorso contromano è stata di circa 45 chilometri orari, «andatura del tutto incompatibile con la tesi di una condotta esibizionistica e spericolata al punto da sfidare il destino». Quella notte Mormile imboccò la Tangenziale in direzione Pozzuoli e non verso Fuorigrotta dove abitava la fidanzata, «un errore in cui può facilmente incorrere chi difetta di lucidità e di attenzione in quanto gli svincoli di immissione sono “invertiti”».
«Innanzitutto - scrivono nelle motivazioni - va sgomberato il campo dalla suggestione, che ha permeato la prima fase delle indagini e di cui vi è evidente traccia nell’impugnata sentenza, che Mormile ha posto in essere la scellerata condotta di guida per esibizionismo o addirittura con intento suicida, in seguito a un litigio con la Barbato». Nel processo non sarebbero emerse prove di eventuali litigi, e gli amici della coppia avevano testimoniato raccontando di un rapporto sereno. Inoltre, ragionano i giudici, la velocità media tenuta da Mormile durante il tragitto percorso contromano è stata di circa 45 chilometri orari, «andatura del tutto incompatibile con la tesi di una condotta esibizionistica e spericolata al punto da sfidare il destino». Quella notte Mormile imboccò la Tangenziale in direzione Pozzuoli e non verso Fuorigrotta dove abitava la fidanzata, «un errore in cui può facilmente incorrere chi difetta di lucidità e di attenzione in quanto gli svincoli di immissione sono “invertiti”». Resosi conto dell’errore il giovane avrebbe quindi compiuto la manovra che i giudici definiscono «insana inversione». Nella ricostruzione della Corte d’appello si dà inoltre rilievo al fatto che Mormile non spense i fari dopo l’inversione a U, continuando a viaggiare con le soli luci diurne accese, e alle conclusioni delle consulenze tecniche sul tasso alcolemico di Mormile al momento dell’incidente. Il fatto che il dj fosse «in una condizione oscillante tra i frastornamento e lo stato confusionale», secondo i giudici di secondo grado condizionò la sua lucidità. Perché c’è differenza, si legge nella sentenza, «tra la lucidità sufficiente per una condotta materiale quale quella di guidare un’auto, caratterizzata in parte da automatismi per chi come l’imputato ha esperienza di guida, e quella invece necessaria per una compita elaborazione critica del rischio connesso alla scelta che si compie e per la consapevole accettazione delle possibili conseguenze». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino