Lino Sibillo, il boss imprendibile che si trova dappertutto

Pasquale Sibillo
Lo vedono ovunque ma alla fine non riescono a trovarlo da nessuna parte. Se a boss del calibro di Giuseppe Misso o Luigi Giuliano (oggi entrambi collaboratori di giustizia) un...

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Lo vedono ovunque ma alla fine non riescono a trovarlo da nessuna parte. Se a boss del calibro di Giuseppe Misso o Luigi Giuliano (oggi entrambi collaboratori di giustizia) un tempo qualcuno avesse fatto il nome di Pasquale Sibillo, sarebbe forse scappato un sorriso beffardo. E invece oggi questo è lo stato dell'arte: il giovane sfuggito alla cattura nel giugno scorso durante il maxi-blitz della polizia che di fatto ha sgretolato l'alleanza Sibillo-Giuliano-Brunetti-Amirante non sarebbe stato che uno dei tanti comprimari, una seconda o terza fila negli organigrammi camorristici che fino a una decina di anni fa regolavano le sorti criminali del centro storico napoletano.




E invece oggi Pasquale, detto Lino, resta la primula rossa, il superlatitante costretto a ereditare il fardello nero impostogli dal clan dopo l'uccisione del fratello Emanuele, a inizio luglio. Di questa esecuzione ormai la Squadra mobile guidata da Fausto Lamparelli sa tutto: nomi dei mandanti e degli esecutori materiali. L'agguato di via Oronzio Costa in cui perse la vita il giovanissimo boss è già oggetto delle valutazioni dei pubblici ministeri della Direzione distrettuale antimafia.



Indagini in pieno corso. Ma si conoscono bene i nomi e i soggetti che oggi stanno animando la «resistenza» di quel pugno di delinquenti rimasto fedele al clan Mazzarella, gli unici capaci di sovvertire un quadro criminale che solo fino alla scorsa primavera pareva popolato solo dai cosiddetti «camorristi ragazzini»: giovanissimi violenti e spregiudicati dal grilletto facile, per di più quasi tutti cocainomani, il cui sogno di prendersi la città è presto naufragato sulle secche di sangue.



Per i magistrati della Dda, come per gli investigatori (oltre alla Mobile ci sono naturalmente anche i carabinieri del Nucleo investigativo del comando provinciale dell'Arma, diretto dal generale Antonio de Vita) il quadro della situazione è ormai ben nitido. Oggi vi si aggiunge l'ultimo capitolo - quello della «pulizia etnica» comandata addirittura da un manipolo di manigoldi sugli spalti dello stadio San Paolo - che è forse la più forte cartina di tornasole con la quale viene confermato l'indissolubile legame tra ultrà violenti e camorra.



Ma torniamo a Pasquale Sibillo. Mai tante segnalazioni sono arrivate al 113 quante se ne contano negli ultimi giorni. Lo vedono ovunque, e ad aprire gli occhi (segnalandolo attraverso telefonate alla centrale operativa della Questura o seguendo i canali confidenziali) sono gli stessi residenti nella zona dei Tribunali. Un dato che deve far riflettere. Ormai in rotta, il clan Sibillo viene visto come un intruso. E magari come un gruppo che sta facendo perdere soldi e affari ogni giorno, proprio a causa del presidio «h24» garantito da polizia e carabinieri nei vicoli in cui lo spaccio di droga si era fatta fonte di lauti guadagni. Ora c'è chi è pronto a vendere la testa di Lino al migliore offerente. Tutto sta a vedere se sia lo Stato o magari un gruppo di fuoco camorrista.

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Il Mattino