Il signor Malaussène sbarca in terra flegrea e va in scena con la sua variopinta tribù di Belleville. Daniel Pennac sarà, infatti, ospite di...
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Pennac, l'ultimo libro della saga di Malaussène, «La passione secondo Thérèse» risaliva al 1998. Che cosa l'ha spinto a riprenderla?
«L'ho ripresa perché avevo voglia di leggere un altro Malaussène e poiché sono io che li scrivo, bisognava che ne scrivessi un altro».
Nel suo nuovo romanzo, protagonista è un personaggio che incarna il mondo degli affari colluso con la politica. Lapietà è il protagonista anche della realtà sociale e politica francese di oggi?
«In questo momento noi abbiamo in Francia un personaggio nuovo, atipico, che è il nuovo amministratore delegato di Danone, Emmanuel Faber. Lui è un altruista, terzomondista e porta avanti personalmente un discorso profondamente disinteressato e generoso, pur essendo il capo di una delle aziende più potenti del mondo. Quest'uomo mi interessa. È un cristiano che pratica la vera Caritas. I veri valori dei dieci comandamenti».
Il reading che terrà a Pozzuoli è una nuova sua incursione nel mondo teatrale. Che tipo di lavoro è stato fatto sul testo?
«La regista Clara Bauer ha tratto dal mio libro, quello che nel diciassettesimo secolo si sarebbe chiamato un divertissement. Ovvero uno spettacolo volontariamente leggero, che vuole creare una condivisione con gli spettatori e stimolare in loro il desiderio di leggere e di tuffarsi nella profondità di questo romanzo, se ve n'è una».
Che cosa rappresenta per lei il teatro?
«Il teatro è il mistero laico dell'incarnazione, un mistero estremamente misterioso perché da Sofocle ad oggi è economicamente deficitario eppure non è mai morto. Ed ogni sera nel mondo intero, in tutte le città, le persone vanno a teatro per vedere dei testi, delle parole, delle storie incarnarsi sulla scena. Ma questo mistero dell'incarnazione è possibile solo attraverso la costituzione di tribù create da uomini e donne di teatro che mettono insieme autori, attori, amministratori, tecnici ecc. ed io adoro questo mondo».
Lei ritorna spesso a Napoli ed è stato già anche a Pozzuoli. Che rapporto ha con questo territorio?
«Di Pozzuoli io amo l'odore. Un odore di zolfo che mi ricorda la mia infanzia, quando andavo a bere un'acqua minerale nelle terme del Massiccio centrale in Francia, essendo un bambino fragile. Aveva esattamente lo stesso gusto dell'odore della Solfatara. Un odore che ha attraversato i secoli per giungere fino a me. Napoli per me è la tribù della C.A.S.A., la tribù teatrale di Roberto Roberto, Ludovica Tinghi, Pako Ioffredo, Demi Licata e tanti altri amici. È una città che adoro, perché la trovo bella, perché amo l'accento napoletano, amo il ritmo della strada, e tutto questo appartiene al senso della comunione incosciente tra me e questa città. Pozzuoli e Napoli son parte per me dello stesso territorio, della stessa emozione».
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Il Mattino