Mann, così il nuovo colpo d'occhio sul plastico degli scavi di Pompei

Mann, così il nuovo colpo d'occhio sul plastico degli scavi di Pompei
Muoversi con gli occhi a «volo d'uccello» sul modello in sughero degli scavi di Pompei, il plastico custodito nel grande salone dell'Archeologico napoletano,...

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Muoversi con gli occhi a «volo d'uccello» sul modello in sughero degli scavi di Pompei, il plastico custodito nel grande salone dell'Archeologico napoletano, non sarà più solo utopia. Lo si potrà fare a fine anno, affacciandosi dall'antica balaustra, quando l'intero ambiente verrà recuperato, reso sicuro per turisti e studiosi e restituito alle visite. Intanto, quel modello, che occupa una superficie di quasi trenta metri quadri, è diventato un Atlante cartaceo contenente la storia perduta degli scavi di Pompei e delle decorazioni che impreziosivano domus e monumenti pubblici cittadini, che verrà proposto in maniera multimediale attraverso una serie di monitor che, dalle pareti della sala, rilanceranno immagini del plastico altrimenti non visibili.

 
Frutto di un anno e mezzo di lavoro, la monografia che è nata dalla digitalizzazione completa di insulae (isolati), regio (quartieri) e domus (case), e che sarà presentata agli studiosi, nella sala convegni del Mann, tra la prima e la seconda metà del prossimo ottobre, è stata messa a punto dall'equipe di archeologi e tecnici dell'Istituto per i beni archeologici e monumentali (Ibam) del Cnr di Catania, coordinati dal direttore Daniele Malfitana, archeologo e componente del Consiglio Superiore per i beni culturali e paesaggistici.

Con le sue 350 pagine, le centinaia di foto (per ciascuna delle quali ci sarà una scheda analitica esplicativa) che ripropongono nei dettagli i colori e i personaggi dipinti sui muri delle case di Pompei e dieci contributi di specialisti e studiosi, l'Atlante è un più che prezioso documento. In primis perché non esiste al mondo una ricostruzione di area abitata 2000 anni fa così puntuale e precisa. Basti solo pensare che gli artigiani artisti che lavorarono alla sua realizzazione andavano di persona come ipotizza Giulio Amara, nel suo contributo: «La grandiosa imitazione, il grande plastico di Pompei» - a rilevare le misure delle case appena scavate e a fare gli schizzi delle relative pitture comparse sulle pareti» non fidandosi troppo di quanto gli veniva da altre fonti. Nel saggio vengono descritte minutamente le spese per le materie prime e i materiali usati: sughero, colla, chiodi, colori, per la clonazione in scala 1 a 100 (cento volte più piccolo dell'originale) del modello tridimensionale. Il primo a mettere mano al plastico, su incarico di Giuseppe Fiorelli, allora ispettore responsabile degli scavi di Pompei, furono il plasticatore Felice Padiglione (affiancato in seguito da Alessandro e Emilio Bramante) e il pittore Antonio Servillo, che cominciarono a lavorare all'opera nel novembre del 1861.


E così, da quel primo nucleo di case e edifici, pochi metri quadri di superficie, il plastico, negli anni, divenne sempre più esteso, riportando tutto quanto emergeva dalle ricerche. Una sorta di sfida, dunque, quella concepita dal Fiorelli che vedeva nel plastico uno strumento destinato a raccogliere e conservare i dati prodotti durante le attività di ricerca a Pompei, favorendone quindi anche la divulgazione scientifica. Insomma, come osserva Antonino Mazzaglia, ricercatore dell'Ibam-Cnr specializzato nella progettazione e nello sviluppo di applicazioni informatiche all'archeologia, «le tecnologie impiegate dal nostro team per rilievo e digitalizzazione del grande plastico sono servite per ottenere un modello tridimensionale di grande affidabilità tanto nella restituzione delle dimensioni quanto in quella delle superfici, e consentirà allo studioso di utilizzare i dati contenuti nel plastico come fossero quelle di un vero archivio storico». Quasi ottant'anni è durata la sua realizzazione. Con alterne vicende e tra mani diverse che vi lavorarono, interrompendosi infine negli anni Trenta del secolo passato. Nonostante i lavori e le integrazioni il plastico risulta ancora mancante di alcuni monumenti, come la palestra dei gladiatori e l'anfiteatro. Una carenza che sarà sanata, anche se in maniera parziale. «È vero» ammette Paolo Giulierini «siamo pronti a rimediare: in occasione della ristrutturazione della sala inseriremo la riproduzione dell'anfiteatro realizzata in epoca successiva». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino