Omicidio di Mario Cerciello Rega, processo da rifare: ​«Mio fratello ucciso la seconda volta»

Carabiniere accoltellato, la Cassazione ha annullato la condanna dei due giovani americani

Paolo e Mario Cerciello Rega
«Non riusciamo a capire, non potevamo aspettarci una decisione del genere, la sensazione che si prova è quella di rivivere la morte di Mario per la seconda...

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«Non riusciamo a capire, non potevamo aspettarci una decisione del genere, la sensazione che si prova è quella di rivivere la morte di Mario per la seconda volta». Così Paolo Cerciello Rega, fratello minore di Mario, il vicebrigadiere dell’Arma ucciso il 26 luglio 2019 in via Cossa a Roma per mano di Finnegan Lee Elder e Gabriele Natale Hjort. Quasi non riesce a realizzare Paolo che il calvario vissuto da quasi quattro anni ormai, nelle aule di tribunale, non sia ancora terminato. «Sembra che ancora giustizia non sia fatta» dice. 

Già, perché la Corte di Cassazione ha annullato l’altra sera le condanne nei confronti dei due imputati americani e ora sarà necessario rifare il processo d’appello che aveva condannato Finnegan a 24 anni di reclusione e Hjort a 22, già sovvertendo la sentenza di primo grado che comminava l’ergastolo a entrambi. Dunque sia per Finnegan, che accoltellò Mario, sia per Hjort al quale si contesta l’accusa di concorso in omicidio, il nuovo processo potrebbe portare a un ulteriore alleggerimento delle relative pene. Una prova, la decisione della Cassazione, che la Corte ritiene plausibile la tesi difensiva degli imputati, quella secondo la quale i due americani non sapevano di trovarsi di fronte due carabinieri, Mario Cerciello Rega e Andrea Varriale, il quale ha ripetuto nel corso di questi anni che sia lui, sia il collega, si erano identificati correttamente come militari.

Per la vedova di Mario, Rosa Maria Esilio che era diventata sua moglie solo un mese prima dell’omicidio, per la mamma Silvia, per il fratello Paolo e la sorella più piccola, sono stati anni duri. Paolo, accanto a Rosa Maria, ha seguito tutte le udienze di primo grado nell’aula bunker di Rebibbia, è stato ascoltato come parte civile raccontando il suo rapporto con il fratello, la morte del padre avvenuta dieci anni prima e la maniera naturale con la quale Mario aveva assunto il suo ruolo. Padre, fratello, marito, la famiglia ha perso, con Mario, la sua guida. La sentenza della prima Corte d’Assise di Roma arrivò attesa dopo quaranta udienze e tredici ore di camera di consiglio: ergastolo. «Chiedevamo giustizia, la pena è giusta ma mio fratello non c’è più», disse allora Paolo. Poi l’appello, con condanne più tenui, infine – l’altra sera – la notizia che il legale dei Cerciello Rega non ha voluto nemmeno commentare: «Le sentenze non si commentano, al massimo si impugnano» ha detto l’avvocato Massimo Ferrandino. 

Intanto il ricordo di Mario e la voglia di giustizia della sua famiglia, della sua Rosa Maria che non ha mai mancato un’udienza, dei suoi amici, non svaniscono. La sua città d’origine, Somma Vesuviana, gli ha intitolato la tribuna dello stadio comunale con un evento al quale presenziò anche il governatore Vincenzo De Luca. Ogni anno, a Somma si tiene anche il memorial a lui intitolato, con la deposizione di fiori sulla sua tomba, una partita di calcio tra studenti degli istituti cittadini e assemblee studentesche per rimarcare i valori che hanno contraddistinto la vita del carabiniere, innamorato della sua divisa ma anche barelliere per l’ordine di Malta – accompagnava a Lourdes i malati tutti gli anni e lì, nella grotta delle apparizioni, aveva chiesto la mano di Rosa Maria - e volontario dedito alla consegna dei pasti ai clochard. Una vita spezzata da undici coltellate inferte in venti secondi. 

Il sindaco di Somma Vesuviana, Salvatore Di Sarno, conosceva bene Mario, da tempo. «Eravamo amici, era facile essere suo amico». Poi aggiunge: «Nel rispetto della magistratura, chiediamo giustizia, per la famiglia ma anche per tutta la sua comunità. L’annullamento della Cassazione, un nuovo processo che sarà ancora una volta calvario per tutti i suoi cari è una pugnalata, uno schiaffo in piena faccia. Non possiamo certo contestare una decisione della Corte ma è pur vero che così si fa fatica ad accettare. Non dico altro, solo che la comunità di Somma si stringe ancora una volta alla famiglia di Mario in un dolore che non si è mai affievolito». 

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Il Mattino